False assunzioni ad Alcamo/3. I "benefattori" che sfruttavano gli stranieri
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Molti immigrati nord africani in Sicilia lavorano in nero. Non hanno garanzie, sono sfruttati e sottopagati.
Ancora di più gli immigrati irregolari, quelli che non hanno il permesso di soggiorno. Potrebbero ottenerlo se avessero un contratto di lavoro. Ma nessuno glielo fa. Nessuno mette in regola un africano irregolare. Ed è qui che entra in scena il gruppo delle false assunzioni. E’ qui che avviene il secondo raggiro, l’ennesimo sfruttamento. Un contratto di lavoro falso, per il quale lo straniero deve pagare centinaia e centinaia di euro, che gli permetterebbe di ottenere il permesso a restare in Italia.
Siamo arrivati alla terza e ultima parte di questo racconto, di come avvenivano le assunzioni false, e come si muoveva il gruppo criminale che si appoggiava ad un patronato, e faceva i soldi con i bisogni degli stranieri.
L’ITER DEL CONTRATTO FALSO
Gli investigatori hanno ricostruito il modus operandi seguito dal gruppo delle assunzioni fasulle. C’era una fase di adescamento, quasi sempre affidata a Gaetano Lampasona e Vincenzo Pipitone (deceduto nel corso delle indagini) che vantavano un'ottima conoscenza dell'ambiente degli extracomunitari residenti ad Alcamo, per lo più gravitanti nel settore agricolo.
Seguiva poi una trattativa diretta con lo straniero che veniva indirizzato a recarsi negli uffici del patronato gestito da Vittorio Scurto. Quest'ultimo era “la persona a cui gli stranieri facevano diretto riferimento per ciò che riguardava la domanda di regolarizzazione” si legge nell’ordinanza. Accanto a Scurto ci sarebbe stato Agostino Stabile, che forniva agli stranieri indicazioni sui tempi della procedura, impartendo istruzioni sugli incombenti da assolvere e sulla versione da presentare ai funzionari della Prefettura nel corso delle convocazioni previste dalla legge.
Ad ogni straniero veniva richiesto un primo versamento di € 500,00, da effettuarsi utilizzando il modello F24, che, per legge è riservato al datore di lavoro quale condizione per la presentazione della pratica.
Il corrispettivo per l'intera pratica veniva fissato in diverse migliaia di euro che gli indagati richiedevano in contanti e che venivano versati in diverse tranches a seconda delle disponibilità finanziarie di volta in volta palesate dagli extracomunitari.
In particolare Scurto prestava assistenza ai titolari delle pratiche nel momento in cui dovevano recarsi per siglare il contratto di lavoro allo Sportello Unico per l 'imrnigrazione. E se in prefettura contestavano l’assenza del datore di lavoro? Veniva dichiarata una improvvisa cessazione del rapporto per cause non imputabili al lavoratore (licenziamento, mancato pagamento degli stipendi).
Tale artificio risultava credibile agli occhi dei funzionari e veniva comunque rilasciato il permesso di soggiorno.
Il Gip nell’ordinanza sottolinea che “tale sistema criminale si fondava sulla triste e amara considerazione che solo un datore di lavoro fittizio appare disposto a mettere in regola lo straniero e solo in quanto trae un vantaggio economico nel farlo”.
I cittadini extracomunitari, al fine di potere avanzare una formale richiesta di rilascio o di rinnovo di permesso di soggiorno, erano costretti a subire il ricatto economico loro imposto dagli indagati, obbligandosi a consegnare loro delle somme di denaro che, dalla precaria prospettiva di lavoratori in nero ragionevolmente sfruttati e sottopagati, potevano considerarsi certo considerevoli.
IL PROCACCIATORE
C’era anche un procacciatore straniero nel gruppo dei falsari del permesso di soggiorno. E’ un tunisino, di cui gli stranieri si fidavano e aveva contatti con le comunità straniere ad Alcamo. Si tratta di Mohammed Ben Ali. E’ la persona che si occupa di reclutare
cittadini extracomunitari, sprovvisti di titoli di soggiorno, offrendo loro la possibilità di ottenere, in cambio di una somma di denaro, un permesso previa allegazione di un fittizio contratto di lavoro subordinato.
Una volta raggiunto l'accordo con gli stranieri, Ben Ali dirottava questi ultimi verso il patronato dove operavano Scurto e Stabile che avevano il compito di predisporre il tutto e presentare agli uffici competenti la documentazione utile. Di Ben Ali il gip scrive che “sfruttando la propria condizione di straniero, intratteneva dei contatti con la comunità degli extracomunitari dimoranti nella città di Alcamo all'interno della quale aveva individuato persone interessate a regolarizzare la propria posizione amministrativa”.
COME "BENEFATTORI"
Contratti falsi per ottenere i permessi di soggiorno. Gli indagati hanno ingenerato nei malcapitati extracomunitari la convinzione che fossero degli "encomiabili benefattori" e che la corresponsione delle cospicue somme loro richieste fosse in qualche modo dovuta.
Ma non era altro che l’ennesimo sfruttamento.
Si tratta di persone che hanno una scarsissima conoscenza della lingua italiana e che non hanno alcuna conoscenza dei procedimenti legislativi ed amministrativi che regolano la materia dell'immigrazione, la cui comprensione risulta ardua anche per gli stessi cittadini italiani.
“Tale condizione di vulnerabilità veniva abilmente sfruttata dagli indagati per ottenere la fiducia di tali soggetti e, conseguentemente, per accaparrarsi diverse migliaia di euro per ogni pratica presentata”.
Gli italiani aiutati da un tunisino avevano in pungo, sostanzialmente, il destino degli immigrati. Gestivano le loro vite.
FINE
1. Così funzionava il ricatto
2. Il datore di lavoro morto
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