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12/02/2012 10:02:20

Il vostro cuore non sia turbato...

Un po' più giù, stessa storia, ecco gli Ebrei giusti, ecco gli Atei giusti, ecco i Buddisti giusti e via di questo passo. Poi, all'improvviso un muro altissimo. Due scale a pioli sono appoggiate al muro e l'Angelo comincia a salire, mentre il sant'uomo fa altrettanto con l'altra scala. "Che succede qui ?" - chiede il sant'uomo - e viene immediatamente zittito dall'Angelo che lo invita al silenzio più totale. Giunti in cima, possono vedere, all'interno del recinto, un altro gruppo di migliaia di esseri. "Chi sono ?" chiede l'uomo giusto e si fa zittire un'altra volta dall'Angelo che gli sussurra : "Te lo spiegherò quando saremo giù". Ridiscesi, l'uomo giusto chiede all'Angelo : ma chi sono quelli, e perché non potevo parlare ? "Vedi figliolo" – risponde l'Angelo – "quelli sono i Cristiani giusti e non si può parlare vicino a loro perché li lasciamo nel loro convincimento di esseri proprio soli qui......".  Le dimore sono molte perché altrettanti sono i credenti. E non mi limiterei alla visione del racconto. Le dimore non sono solo quelle legate ad ogni singola espressione religiosa… mi piace pensare che per ciascuno di noi vi sia una dimora celeste, che ogni uomo è degno di avere e di essere una dimora celeste. Le dimore celesti, o meglio la dimora celeste, è uno stato spirituale: è la comunione con Dio e la dimora si realizza in quel luogo e in quel momento in cui il Signore manifesta la sua presenza. Ma forse Giovanni vuol anche dirci, riferendo le parole di Cristo che già ora e subito, ciascuno di noi può essere prima di esservi accolto, dimora di Dio, come Cristo è stato dimora del Padre. Rispondendo a Filippo Gesù afferma: “11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse. 12 In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch'egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre”. Quando Gesù ci esorta ad “avere fede” ed a “credere” in lui vuole liberare ciascuno di noi dalla prigionia di noi stessi e della nostra modesta visione di noi stessi e della creazione e vuole farci aprire al futuro impedendo che la nostra presunzione o la nostra disperazione possano avere il sopravvento. Noi siamo di fronte ad un richiamo alla fede che si scontra con la nostra ansia di essere rassicurati. Noi siamo il Tommaso che gli disse: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?» e che per questa ansia rischiamo che la fede produca in noi la superstizione anziché la fiducia. La condizione di chi mette la superstizione al posto della fede è stata abilmente descritta dal teologo tedesco Jurgen Moltmann quando dice: a confronto con quelli che corrono dietro i cosiddetti idoli, i cristiani diventano poveri. Ma in paragone con la loro schiavitù e la loro infatuazione essi diventano liberi. Gli idoli cui fa riferimento Moltmann sono certamente in primo luogo gli idoli pagani di vecchia memoria, ma sono anche i nuovi idoli. Gli idoli della nostra società dei consumi: il denaro, il potere, la fama… le nuove religioni che vengono celebrate ogni giorno dalla tv, dalla pubblicità sui giornali… per carità, non vorrei apparire retrogrado e bacchettone, ma è di tutta evidenza che l’importanza che diamo a questi elementi esterni alla nostra vita diventano talvolta una forma di idolatria. È però vero che sempre più spesso ci ritroviamo a dire… mi piacerebbe che le cose cambiassero… spero che il domani sia migliore… spero di stare meglio… la speranza che tutti noi abbiamo è quella di vivere in un mondo migliore e più giusto. Noi cristiani, però, abbiamo spesso paura di parlare della nostra speranza, forse perché proprio noi stessi non le diamo il suo giusto valore e la leghiamo al tempo dell'infanzia oppure ad una condizione di debolezza mentale. L'essere umano ha bisogno di sperare, ha bisogno di guardare avanti, proprio per questo è facile incontrare sulla nostra strada dei venditori di false speranze, che usano parole rassicuranti per sedurci vendendoci i sogni che vorremmo realizzare nella nostra visione della vita che spesso è più vicina ai principi ed ai valori borghesi piuttosto che alla “debolezza” che Gesù ci propone. Tuttavia Gesù, pure nella sua debolezza, si presenta a noi in termini assoluti e categorici: lui è la via, e al di fuori di lui non ne esiste un'altra, non ci sono posizioni intermedie o altri mezzi per arrivare alla verità. Cristo non si presenta come fuga dalla realtà e neppure come accettazione incondizionata di quello che ci succede perché il Regno di Dio è già qui, ed ora, ma è anche l'attesa di un avvenire migliore, garantito alla fine dei tempi, quando ogni cosa verrà fatta nuova (Apocalisse 21,1-5). La nostra certezza e la nostra speranza sono fondate sulle parole di Gesù: io sono la via, la verità e la vita, ma il credere in questa affermazione non ci tira fuori da tutti i problemi della nostra vita, non ci introduce in un involucro che allontana da noi preoccupazioni, malattie o sofferenze. Gesù Cristo non è una copertura assicurativa o sanitaria o la garanzia di essere lontani da tutti i rischi della nostra esistenza. Il cristiano si confronta, come tutti gli altri, con i problemi, le malattie, i dolori e le sofferenze, ma la via di Gesù lo spinge ad una comunione di vita con Dio e lo porta ad affrontare le difficoltà ed i limiti invalicabili della vita con forza. La forza della vita, ricevuta in dono da Cristo, non consiste nell'ignorare la sofferenza o la morte, ma trova la forza di affrontare sia l'una sia l'altra proprio attraverso la condivisione che il Cristo ha avuto con noi nella sofferenza e nel suo trionfo sulla morte. Noi abbiamo già avuto un'anticipazione della gloria e della potenza di Dio, come pure della sua grazia e della sua misericordia ed ora, a partire da questa guardiamo in avanti, come spesso diciamo nella preghiera “venga il tuo regno”, una visione rivolta al futuro ma una chiara consapevolezza e responsabilità del nostro oggi, come singoli credenti ma anche come chiesa, non comodamente addormentati nelle nostre certezze di benessere, o nel cullarci nella nostra storia di fede, ma vigili e pronti.   Fabio Pace - www.chiesavaldesetrapani.com