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28/06/2012 08:59:37

Una nuova spiritualità globale?

Su che cosa si basa questa spiritualità?
In primo luogo su una visione moderna dell'uomo, radicalmente diversa da quella che ha dominato per secoli. Nell'antichità greca, si pensava l'uomo come una persona che acquisiva la propria dignità nella partecipazione alla vita della polis. Poi, a seconda dei contesti e delle epoche, alla vita della tribù, della famiglia, della nazione. Nell'epoca moderna nasce l'individuo. Il concetto di individuo, è l'idea secondo la quale l'uomo si rivolge alla sua soggettività, che è abissale, e che diventa essa stessa una sorta di trascendenza. Secondo elemento: la nostra visione del mondo. Sempre partire dall'epoca moderna, si sviluppa una visione del nostro universo come un insieme infinito. Fino a quel momento, l'idea stessa di infinito era molto negativa. I greci pensavano il cosmo come qualche cosa di perfetto, perché finito, determinato. In pensatori come Kant, alla fine del XVIII secolo, si vede quindi apparire questa doppia nozione di individuo che conquista la sua soggettività, in un mondo che si pensa ormai infinito. La legge morale è in lui, come soggettività abissale. E dall'altro lato c'è l'universo infinito, il cielo stellato sopra di lui. Nel XIX secolo, in particolare con il movimento romantico, questo schema di pensiero supera il quadro della ragione, e conquista il campo dell'emozione. Poi raggiunge i nostri modi di vivere. Prima marginalmente, in comunità come quella di Monte Verità in Svizzera, poi in maniera spettacolare con la New Age negli anni '60, e le nostre preoccupazioni mistiche ed ecologiche oggi. Cerco di far vedere che c'è una continuità tra questo lungo processo intellettuale – la soggettività del soggetto e il mondo pensato come infinito – e il nostro modo di vivere attuale. Sono gli stessi elementi ad essere mobilitati, nella ricerca del benessere personale negli atti più quotidiani e, allo stesso tempo, con la preoccupazione di un equilibrio mondiale. Se qualcuno fosse stato ibernato negli anni '70 e si svegliasse adesso, constaterebbe che gli hippy hanno preso il potere. Molti pensatori hanno analizzato questa svolta come quella della postmodernità. Personalmente, difendo l'idea che la postmodernità è la modernità in atti.
Come immaginare il rapporto tra l'individuo-globalismo e le religioni istituzionali?
C'è coesistenza tra questo schema e le grandi religioni. Queste ultime continuano ad esistere perché il vecchio mondo, che le ha create, c'è ancora. Ma siamo in un periodo di transizione. E, secondo me, ci sono tre possibilità per le grandi religioni: o resistono aggrappandosi al passato, e in tal caso ci sarà la fuga dei fedeli; o fanno dei compromessi con la modernità e si mantengono in vita; oppure anticipano sulle trasformazioni future e in tal caso aumenteranno i loro fedeli. Concretamente: nel cristianesimo, una parte dell'individuo-globalismo, nella sua versione emozionale, si manifesta nei movimenti evangelici, che veicolano una effervescenza collettiva, e fanno credere ai fedeli che potranno cambiare la loro vita.
La Chiesa cattolica ha resistito a questo cambiamento portato dagli evangelici. Risultato: ha perso tutti i gitani francesi, o praticamente sono diventati neoevangelici pur continuando a praticare il culto di Maria, che è normalmente incompatibile con il culto protestante, ma questo a loro non fa problema. Ad un certo punto, la Chiesa ha cominciato a comprendere questo movimento, e ha “inquadrato” il rinnovamento carismatico. È quindi passata al secondo atteggiamento, quello della negoziazione.
Allora la Chiesa cattolica ha ancora una carta da giocare nei confronti della modernità?
Sì, in maniera evidente. L'individuo-globalismo è il prodotto della modernità. Ma bisogna anche ricordare che la modernità è essa stessa il prodotto dell'evoluzione dialettica del cristianesimo, a cui la Chiesa cattolica partecipa da 2000 anni. Il rapporto con l'individuo pensato come sacro è presente nel cristianesimo tramite l'idea di incarnazione. Ricordiamo ancora che la filosofia illuministica è uno sviluppo della teologia cristiana ad un certo livello. Ora, è proprio la filosofia illuministica che fa nascere l'individuo-globalismo. Quindi la Chiesa cattolica può ricomporsi in maniera compatibile con questo nuovo mito. E lo fa già, tramite le sue reti e le sue ONG che portano la voce cattolica nel mondo, all'ONU, nelle istituzioni internazionali... Ma questo cambiamento di paradigma presuppone l'abbandono di una parte della sua dogmatica, che la mantiene nei vecchi schemi.

La Chiesa, potrebbe mai abbandonare la sua dogmatica? Lei ci crede?
Ci può essere una resistenza molto forte, ma la storia ci mostra che la necessità fa la norma. Per il momento, la Chiesa non è al bordo del baratro, ma quando sarà arrivata al punto in cui non potrà nemmeno più mantenere il Vaticano, penso che accetterà di reinterpretare il suo dogma. Ha certo notato che la tendenza attuale è piuttosto il ritorno alla Tradizione... Certo, è un riflesso classico, provocato dalla paura. Quando si ha paura, ci si ritrae. Per parlare in termini di immagine, si costruiscono dighe per proteggersi dalle correnti dominanti. Ma così facendo, ci si proibisce di pensare o di comprendere queste correnti, si fissa l'attenzione su delle dighe artificiali. È lo stesso processo del dibattito francese sull'identità. Se si fa un dibattito sull'identità, vuol dire che l'identità non è più evidente. Per natura, l'identità è un impensato. Se ho bisogno di renderla riflessiva, vuol dire che non esiste più. È la stessa cosa per la religione. Quando un individuo vuole pensarsi tradizionale, o integralista, fa la constatazione implicita che la sua tradizione è morta.
Quale fede, quale contenuto vede per questa nuova spiritualità che annuncia?
Le religioni si ricompongono attorno ad una nozione centrale, l'energia. Che è al contempo salvatrice e personale. Da cui la nozione di connessione, di connettività tra l'individuale e il globale, tra l'individuo e la natura. In questo contesto, il dogma cattolico stesso è reinterpretato con questa idea di energia. Bisogna pensarlo vicino all'immaginario dello yoga, delle spiritualità orientali.

Allora la sua tesi è quella di una rilettura della tradizione cristiana in una versione sincretica influenzata dalle altre forme di spiritualità?
Sì, e questo avrà per risultato di renderci bipolari. Interiorizzeremo, ciascuno di noi al nostro livello, le culture diverse dalla nostra. Ad esempio incenseremo il taoismo o il buddismo, perché si presuppone che siano vicini alla natura. E simmetricamente rifiuteremo il cattolicesimo... ma solo in un primo momento, perché certi aspetti del cattolicesimo permettono di pensare l'ecologia, l'unione con la natura, l'equilibrio globale.
È in questo gioco di confronti che il rullo compressore individuo-globale avanza, e avvicina le religioni focalizzandosi sulla loro estetica, ma togliendo loro il loro nucleo dogmatico. Le religioni diventano a poco a poco intercambiabili. In pratica, si vedono apparire degli ibridi: si fa dello yoga kabbalistico, del gi gong cristiano, o della meditazione zen facendo la comunione...
Ma in pratica, appunto, tutti questi comportamenti restano individuali, molto limitati.

Che rapporto c'è con la pratica religiosa della maggioranza?
La cosa è molto meno limitata di quanto si pensi. In Occidente, questa spiritualità è portata avanti dalle clessi medie. Per parlare in termini mediatici, i “bobo”*. Ma non solo. Vi si potrebbero aggiungere i cattolici di sinistra, molto interessati al dialogo interreligioso o all'ambito umanitario, processi indiscutibilmente individuo-globali. Le altre parti della popolazione aderiscono anch'esse al mito individuo-globale, ma non possono, potrei dire, permetterselo completamente. L'individuo-globalismo è il colore dominante del quadro, ma una parte della popolazione lo percepisce come degradato. Non tutti vivono la conoscenza di sé, la realizzazione personale, ma tutti vi aspirano. L'unico che arriva a vivere questa ricerca nel suo quotidiano, è il “bobo”* nel suo lavoro. Ma la ricerca riguarda comunque tutti quanti. Quindi gli altri vivranno gli stessi problemi... nel loro tempo libero, facendo degli stage di sviluppo personale, dei viaggi spirituali, consumando biologico, ecc.
E su scala planetaria?
Troviamo la stessa asimmetria. Coloro che sono oggetto dei nuovi culti (i popoli tradizionali, per eccellenza) sanno di far parte dello scenario dell'esperienza spirituale che cercano di vivere i cittadini delle società postindustriali. Sono loro stessi obbligati ad immaginare ciò che si aspettano esteticamente quei turisti per far loro vivere un'esperienza. Se no, perdono la loro forza di attrazione economica. C'è quindi una pressione ideologica forte, in cui coloro che giocano a questo gioco di ruolo (che io chiamo gli “iperbeduini” o gli “iperzulù”) finiscono per allontanarsi dal “nucleo” della loro cultura per corrispondere alle attese dei cittadini delle società postindustriali. Da questo punto di vista, la “valorizzazione” dell'altro contribuisce in realtà alla sua distruzione identitaria. Su scala planetaria, è l'uniformizzazione. Le sole differenze che restano sono estetiche, permettono di viaggiare e di vivere l'avventura per progredire interiormente e trovare se stessi.
Questo cambiamento le sembra irreversibile?
Sì. C'è proprio la formazione di un fondo mitico comune a tutta l'umanità che corrisponde ad una situazione politica, economica, in cui tutti ormai hanno coscienza della condizione degli altri. Non è quindi più possibile far marcia indietro. Quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione tra qualche decina d'anni? Potranno essere positive o negative. Si può perfino immaginare un integralismo idividuo-globalista: delle sette di pazzi da legare potrebbero voler distruggere l'umanità o instaurare una dittatura anti-umanistica a causa delle devastazioni causate dall'uomo sull'ambiente. È possibile. Così come è possibile un mondo in cui la realizzazione personale diventi la norma dominante. La sceneggiatura è ancora tutta da scrivere.

in “www.temoignagechretien.fr” del 23 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)


* “bobo”: persona di classe agiata con uno stile di vita non convenzionale. Neologismo,
contrazione di “bourgeois-bohème” (borghese-anticonformista), termine creato dal giornalista
americano David Brooks, secondo la sua analisi dell'evoluzione della società americana