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03/09/2012 11:14:25

Quasi un racconto moderno: Caino e Abele

Sia Caino che Abele erano bravi nel proprio lavoro, sapevano faticare e fare scelte intelligenti. La famiglia viveva un po’ meglio  di quando erano piccoli. Mamma e papà erano contenti di loro e non dimenticavano di ringraziare il loro Dio, che benediceva il lavoro dei figli. Le greggi di Abele crescevano, producevano carne e latte e pelli per coprirsi. Anche i campi di Caino erano produttivi, fertili, a prezzo di un duro lavoro. Caino guardava Abele  e gli sembrava che questo suo fratello minore lo stesse superando in tutto, le sue greggi erano ben pasciute e la fatica del pastore era inferiore alla sua, non si spaccava la schiena sotto un sole feroce per scavare i solchi, per seminare, per raccogliere. Come avevano raccomandato i genitori, i due fratelli periodicamente offrivano sacrifici al loro Dio, cioè rinunciavano a qualche parte pregiata dei loro prodotti  ( per esempio, i frutti più belli, gli agnelli meglio in salute) e li bruciavano in onore di Dio.  E Abele prosperava, mentre Caino sentiva che le cose non andavano tanto bene.  Dentro di sé se la prendeva con Dio e si chiedeva  “ma perché questo favore per Abele e non per me?  Non sono devoto io come lui? Non siamo figli degli stessi genitori?”. E si rodeva e cresceva l’invidia  dentro il suo animo. Un giorno Caino si accorse che Dio gli stava parlando: “Perché te ne stai lì tutto scuro in volto, gli occhi a terra, senza più guardare in faccia nessuno, la testa abbattuta verso il suolo come uno sconfitto, come uno che appena sveglio, al mattino, è già stanco e non vede più un significato positivo in ciò che fa? Continuando così non potrai che far male a te e agli altri. Non ti accorgi che continuando a confrontarti con tuo fratello, desiderando il suo male, ti riempi di pensieri ossessivi, non riesci più a lavorare bene,  non giochi e scherzi più con nessuno; insomma, alla fine, stai facendo male solo a te stesso. Prova a fare qualche gesto di amicizia, torna ad essere cordiale quando vi incontrate in famiglia, quelle rare volte che succede. Vedrai che il tuo volto si schiarirà, rialzerai la testa e guarderai di nuovo dritto negli occhi tuo padre e tua madre”. Caino sentiva che queste parole di Dio  erano dentro di sé, ma molto in fondo, molto in fondo, quasi nascoste da una nebbia rossa, pesante di malcontento. E diceva dentro di sé “ ma che vuole questo Dio, che viene  a darmi consigli  ma non favorisce per niente il mio lavoro?  Favorisce Abele. E che si tenga Abele! Per me  questo Dio non esiste; è lui il mio male; lui e questo mio fratello che mi irride, che è diventato il preferito di mia madre”. E quando, nel giorno dedicato al Signore, sedeva a tavola con tutta la famiglia, non solo Abele ma i fratelli e le sorelle  più piccoli, non scherzava, non parlava con nessuno e i suoi occhi fissavano la terra pestata del cortile. Un giorno si incontrarono lontano dalla casa materna, in aperta campagna. Caino non seppe mai spiegarsi se era lui che aveva cercato Abele  oppure se era venuto suo fratello, forse perché cercava un chiarimento. Parlavano, discutevano,  Caino non voleva mostrare l’ira che gli ribolliva dentro; osservava la serenità e sicurezza che ostentava  Abele; pretendeva di dargli consigli, lui, “ruffiano di questo Dio che esiste per lui ma non per me; vediamo se questo Dio è capace di proteggerti. Basta!” urlò dentro di sé  e si scagliò brandendo la sua zappa contro il fratello. Si allontanò lasciando il corpo dell’ucciso in mezzo alla sterpaglia, sul terreno fatto rosso dal sangue che colava dalle ferite, dalla testa fracassata. Si era liberato di quell’incubo. Abele non c’era più. E non c’era più nemmeno Dio. C’era però il sangue su quella terra e questo sangue riempiva la sua vista: guardava verso il bosco e lo vedeva insanguinato, guardava verso la fonte lontana ed era rossa, guardava nel cielo le piccole nuvole bianche ed erano macchie di sangue. Il sangue urlava contro di lui. Ah, avrebbe dovuto coprirlo, coprirlo di terra, sarebbe stato facile, quattro colpi di zappa, ma la zappa l’aveva lasciata lì, il manico spezzato, accanto al quel corpo scomposto. Quel sangue si rifletteva dovunque. Tutto l’universo era specchi che rinviavano il rosso del suo omicidio. E risentì la voce di Dio ( “perché  ora,  Dio, perché non mi hai parlato prima? potevi fermarmi”): “ Sei maledetto, sei maledetto. Questa terra ha bevuto il sangue di tuo fratello e non è più la tua terra, devi abbandonarla. Urla contro di te, la terra. Non riuscirai più a lavorarla, a godere dei suoi prodotti. Dovrai fuggire di paese in paese  e vivere da nomade,  senza terra”. Caino corre ma sa che non ha più dove correre, non tornerà a casa, gli chiederebbero, come ha fatto Dio poco fa, “dov’è tuo fratello?”. Potrebbe rispondere “sono forse il custode di mio fratello?” . Forse gli crederebbero, ma non può più pronunciarla, questa frase, dopo che questo Dio gliel’ha frantumata con l’urlo della terra imbevuta di sangue.  “Questo Dio, questo stranissimo Dio, va gridando Caino mentre ansima nella corsa, questo Dio, che non c’era quando volevo che ci fosse ( poteva fermarmi, sì, poteva fermarmi!) e che ora che non lo voglio mi sta addosso, mi perseguita, mi condanna. No, Dio, preferisco che tu non ci sia come tra poco non ci sarò più nemmeno io. Sono come una bestia da cacciare. Sono solo. Chiunque può uccidermi. Mi verranno a cercare, me, l’assassino di Abele. Sarà un merito ammazzarmi” “No” disse Dio, e Caino non riusciva a capire se questo suono rimbombasse soltanto nel profondo delle sue viscere  o precipitasse dalla volta del cielo, “No” , disse Dio, “ se Caino ha peccato, chi ucciderà Caino avrà peccato sette volte di più”. E Caino sentì che Dio l’aveva segnato ma non sapeva come.   Giovanni Lombardo - da  chiesavaldesetrapani.com