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25/09/2013 07:35:00

Campobello, il caso della cantina fantasma e dei soldi spariti

C’è uno scheletro a Campobello di Mazara. E’ lo scheletro della truffa. E’ uno quei totem, fatti di cemento, di cui sono piene le nostre campagne. Sono le cartoline della frode in Sicilia. Il simbolo per eccezione. E ci sono soldi pubblici, 1,7 milioni di euro circa, di cui nessuno sa dove siano andati a finire. Persi nei vari giri di carte bollate, cessioni societarie, trasferimenti di capitali, e magagne che perlopiù restano impunite.
Ci sono fabbriche, capannoni, aziende, lasciati a metà e abbandonati. Sono fatti con i contributi pubblici arrivati in Sicilia perché c’è sottosviluppo. Arrivati qui perché la provincia di Trapani, e la zona di Campobello soprattutto, sono zone “disagiate”. Si fanno i contratti di programma, si mette nero su bianco un bel progettino, si chiedono i soldi allo Stato promettendo sviluppo, posti di lavoro e reddito per tanti anni. Lo Stato ci crede, costruisci una prima parte dell’opera, arrivata la prima tranche del finanziamento molli tutto e scappi. Succede così, con il business della frode. E’ successo così anche, e di nuovo, a Campobello di Mazara.
“Vennero un giorno questi imprenditori e professionisti del nord – raccontano Mariano e Giuseppe Ferro, padre e figlio – ci dissero che volevano costruire una società. E con i finanziamenti dello Stato creare un’azienda nel settore vitivinicolo, con una bella cantina all’avanguardia. Poi un giorno abbiamo chiesto a che punto fossero i lavori. Ma abbiamo scoperto che non c’era alcuna voglia di andare avanti, l’unico scopo era quello di ottenere i contributi e mollare tutto”. I contributi per il Baglio delle Cicale, cantina vinicola che doveva sorgere in contrada Granitola, a Campobello.
Tutto comincia nel 2001 quando alcuni tra imprenditori e commercialisti del Nord Italia arrivano in Sicilia, a Campobello di Mazara, ed entrano nella società della Cantina Walter Filiputti. Sono gli anni in cui in Sicilia piovevano milioni e milioni di euro dallo Stato e dall’Unione Europea. Venivano finanziate fabbriche, aziende agricole, alberghi. A Campobello di Mazara si decide di intercettare i fondi statali per mettere su una cantina vinicola. Allora la piccola azienda Filiputti si trasforma nella Baglio delle Cicale srl. Un’azienda in cui fanno parte diverse persone. Un po’ del Nord un po’ del sud. La Baglio delle Cicale assieme ad altre 35 aziende sottoscrive un contratto di programma, all’interno di un consorzio denominato Consorzio Sikelia, con il Ministero dello Sviluppo Economico. Nel contratto di programma, appunto partecipano 36 aziende, e tutte dichiarano di essere disposte a investire denaro, competenze e creare occupazione. In totale si parla di 300 posti di lavoro e oltre 100 milioni di euro che lo Stato avrebbe dovuto elargire a tutte queste aziende. La Baglio delle Cicale dichiara di partire da zero per ottenere il finanziamento. E’ una società nuova e deve costruire la nuova cantina, ci vogliono i nuovi macchinari, il nuovo personale. Tutto nuovo. Promette 22 posti di lavoro e un investimento di 10.762.960 euro. Tutto sul territorio, tutto su Campobello di Mazara. Un’occasione unica. Col contratto di programma lo stato accorda all’azienda un finanziamento pari alla metà dell’investimento previsto: 5 milioni 194 mila euro, di cui un terzo sarebbe stato a carico della Regione Sicilia. Non le viene difficile essere giudicata idonea al finanziamento. L’azienda si verrebbe ad insediare in un’area classificata come “disagiata”. E poi ci sono fior fior di consulenti e imprenditori che vengono giù in Sicilia a mettere su l’azienda. O almeno così dicono di voler fare. C’è Gianpiero Jelmini, imprenditore tessile di Golasecca, nel Varesotto, imparentato con i Missoni, che della Baglio delle Cicale diventerà il presidente del Cda. C’è il commercialista Stefano Barei, di Udine. La mente di tutto, sembra. E altra gente.
Il finanziamento doveva avvenire in tre tranche. Un milione e 700 mila euro circa ciascuna, un terzo a carico della Regione Sicilia e l’altra parte a carico dello Stato. Le tre tranche si riferiscono alle annualità 2002, 2003 e 2004. Per il Baglio delle Cicale firma Giampiero Jelmini. L’azienda riesce a far partire i lavori per costruire la cantina, poco dopo arriva il finanziamento. La prima tranche. Poi tutto si ferma. Nel 2006 Jelmini concede foto e interviste vantandosi delle sue doti di grande imprenditore che dal Nord scommette sulla Sicilia arretrata e in difficoltà. Si fa fotografare con le bottiglie etichettate “Baglio delle Cicale”. Ma il vino non è prodotto in quella cantina che si doveva costruire. Non è neanche imbottigliato lì. Perché la cantina nel 2006 ancora non c’è. Non esiste. Doveva essere pronta nel 2004 ma ancora niente. C’è lo scheletro. I terreni accanto sono praticamente andati. I vitigni secchi. E basta. Mariano Ferro, che fa parte di quella socità, si accorge che c’è qualcosa che non va. Chiedo e richiedono. “Quando ci diamo una mossa, noi abbiamo investito tempo e denaro”. Lo scheletro è lì, fermo. Se ne accorge anche il Ministero dello Sviluppo economico che nel 2007 revoca il finanziamento perché al 31 dicembre 2006 ancora la ditta non aveva realizzato neanche il 30% del programma. E in tal caso lo Stato chiude il rubinetto. Quindi dove sono finiti i soldi? A cosa è servito il finanziamento? Non si sa. Nel frattempo l’azienda viene scorporata. Finisce in mano agli amministratori, e gli altri soci non sanno cosa sta accadendo. Viene ceduto un ramo dell’azienda Baglio delle Cicale che nel frattempo è stata praticamente svuotata. Il ramo d’azienda ceduto in sostanza è tutta l’azienda stessa. Perché negli atti della cessione non si fa riferimento al contributo ottenuto dallo Stato e non si fa nemmeno riferimento ai debiti che ci sono nei confronti dei fornitori e dello Stato che ha revocato quel finanziamento. Dove finisce la Baglio delle Cicale? Passa per una di quelle società che in gergo vengono chiamate “fantocce”: la Cumini Cars srl. Capitale sociale 100 mila euro, l’azienda non si occupa proprio di vini. Ma di riparazioni e rivendita auto, almeno così recita il suo statuto societario. Tutto questo giro e questi passaggi avvengono all’oscuro di alcuni soci. Tra questi Mariano Ferro che dopo un po’ prende carta e penna e denuncia tutto e tutti. Porta in tribunale i tre membri del consiglio di amministrazione della società: Jelmini, Giovanni Tedesco di Mazara del Vallo e Franco Datti. Anche perché la Baglio delle Cicale nel 2007 non c’è più. Cambia nome, cambia tutto. E si chiama Giardini del Sole srl. Cambia anche sede, Milano. Non cambia amministratore. E’ sempre lui, Jelmini.
Le denunce di Ferro portano a qualcosa? Non tanto. Perché la giustizia è lenta. Perché chi ha davanti è fornito di avvocati d’assalto. E’ gente con una certa esperienza in queste cose. Nonostante ciò porta i tre amministratori in tribunale per sentirli condannare a risarcire i danni che avrebbero provocato all’azienda con le loro attività. Un danno che secondo le stime del legale di Ferro si aggira intorno ai 2,2 milioni di euro. Ma tutto cade. I tre non dovranno sborsare un soldo. Ma durante le udienze si ascoltano persone. Si ascoltano testimoni. Uno di questi è Stefano Barei. Chi è? E’ un giovane e rampante commercialista all’epoca dei fatti. Barei è il classico ragioniere che disbriga tutte le pratica sui finanziamenti, i contributi. Pensa a tutto lui, sembra. Quando ci sono conti da fare, chiedere a lui. Quando ci sono da ottenere contributi, da pagare meno tasse, chiedere a lui. Barei lo scorso anno è stato beccato però. Siamo nel maggio 2012 e il commercialista di Udine assieme ad altri 2 professionisti della fattura vengono arrestati proprio per un giro di fatture false. Le fiamme gialle hanno scoperto un ampio giro di evasione fiscale internazionale attraverso un giro di fatture false. Dalle indagini è emerso che i tre controllavano di fatto 4 società mascherate dietro due fiduciarie di San Marino e di Firenze. Oltre 12 milioni di euro la base imponibile recuperata, 3 milioni l'Iva dovuta e 6 milioni le fatture per operazioni inesistenti accertate.
Sono stati sequestrati preventivamente valori e beni per un valore di circa un milione e 700mila euro. Poi a dicembre a Barei sono stati sequestrati beni per 8 milioni di euro. Eppure risultava ufficialmente “incapiente“. Aveva intestato tutto ad una società di capitali riconducibili alla sua convivente, riuscendo così ad evitare i suoi obblighi nei confronti dello Stato. Ecco, Barei è uno che ci sa fare. Ma torniamo alla sua avventura Siciliana. Perchè, viene denunciato da Ferro per falsa dichiarazione. Avrebbe mentito circa alcune cose contabili durante gli interrogatori nel processo societario sugli amministratori della Baglio delle Cicale. Ferro non si ferma lì. Scrive anche un’altra denuncia. La manda sia alla Procura di Marsala. Sia al Ministero dello Sviluppo. Chiede, in sostanza, quello che è lecito chiedersi. Dove sono finiti i soldi intascati per costruire la cantina? Ancora non è stata data alcuna risposta. Per la falsa testimonianza invece la Procura di Marsala ha chiesto l’archiviazione dei fatti contestati a Barei, che ad aprile è stato di nuovo arrestato ai domiciliari con altri colleghi faccendieri per una serie di frodi internazionali per ottenere liquidità da giocare in borsa. Intanto in Sicilia ci sono i fantasmi. Ci sono i fantasmi del vino, quelli delle cicale. Ci sono gli scheletri. Come quello di Campobello di Mazara. Lo scheletro di una truffa impunita.