Quantcast
×
 
 
28/03/2015 06:30:00

Processo per usura a Marsala. Familiari della “vittima” confermano le accuse

  Pur affermando di non essere a conoscenza dei dettagli della vicenda, la moglie e un cognato di Giuseppe Rallo, presunta vittima di usura, hanno confermato, in Tribunale a Marsala, di sapere che il loro familiare era finito nel tritacarne dei prestiti a “strozzo”. Tanto che lo hanno aiutato dandogli decine di migliaia di euro. Lo hanno dichiarato nel processo che vede alla sbarra degli imputati il 70enne ex gommista di contrada Berbarello Francesco Bianco, nonché Ludovico Maurizio Marino, di 55 anni, e Francesco Giacalone, di 60. I tre avrebbero prestato denaro, a più riprese, al gestore di un distributore di carburanti, Giuseppe Rallo, di 47 anni. Il 15% di interessi mensili sarebbe stato preteso da Bianco e Marino, che al Rallo avrebbero rispettivamente prestato circa 38 mila e 15 mila euro. Il 10%, invece, era il tasso fissato dal Giacalone a fronte di un prestito di circa 100 mila euro. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 2006 e il 2008. Francesco Giacalone, inoltre, è finito sotto processo anche per lesioni e minaccia grave. Imputazione, quest’ultima, che a seguito delle dichiarazioni rese in aula dalla presunta vittima, è stata trasformata dal pm in tentata estorsione. Reato per il quale, il difensore (avvocato Alessandro Casano) ha chiesto il rito abbreviato, ottenendo l’ok dal tribunale. Le contestazioni mosse a Giacalone sono relative a fatti che sarebbero avvenuti il 5 giugno 2008, quando l’imputato avrebbe sferrato due pugni al volto del Rallo, puntandogli inoltre un coltello contro e dicendogli che ‘’prima o poi gli avrebbe sparato in bocca e tagliato la faccia’’. Giuseppe Rallo, assieme alla moglie, si è costituito parte civile. Ad assisterlo è l’avvocato Antonino Carmicio. Parte civile anche la locale associazione antiracket e antiusura, rappresentata dall’avvocato Peppe Gandolfo. Dei tre imputati, il più noto alle cronache è Francesco Bianco, attualmente imputato anche nel processo scaturito dall’operazione dei carabinieri ‘’Cupido’’, che nel luglio dello scorso anno sfociò in cinque misure cautelari (tre arresti domiciliari e due obblighi di dimora nel Comune di residenza) a seguito della scoperta di una casa di prostituzione che avrebbe operato all'interno di un locale pubblico aperto in contrada Berbarello sotto forma di club. L’immobile in cui era stato aperto il locale a ‘’luci rosse’’ è di proprietà di Bianco, ma lui, che si è sempre difeso dicendo che non sapeva cosa accadesse dentro, non è accusato di aver avuto un ruolo nella gestione del club.