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15/11/2015 19:30:00

L’indesiderabile identità. Il pennello di Sal

Il mondo delle immagini delle opere pittoriche, sempre più spesso, oggi si pone come un soggetto che fa domande con il linguaggio che ha in proprio e autonomo, limitando con ciò il vecchio ruolo della discorsività linguistica come il modello da imitare (la poetica della mimesis) e cui subordinarsi. Le immagini pittoriche si pongono così di fronte e impegnano gli autori (artisti o poeti) in un rapporto d’inter-azione collaborativa attraverso un utilizzo dei media impiegati; il medium che modalizza il mettersi-in-forma del fare, del vedere, del dire e del mostrare, guardare e leggere le immagini e il mondo che vi si rappresentano con il linguaggio non verbale.

La con-figurazione, qui, infatti, è forma che, rinviando alla condensazione concettuale che vuole rendersi visibilità tra determinazione e indeterminazione, produce l’immagine stessa quanto la dimensione iconologica della parola che l’accosta facendosi interpretazione, per leggervi l’“immaginità” (J. Rancière, Il destino delle immagini, 2007) del visibile-percepito o del suo “percetto” (deleuzianamente la costellazione dei percetti e degli affetti di cui quel mondo è portatore).

L’immagine nell’arte, allora, si può dire, ha in proprio un’identità instabile, in quanto forma di un insieme operativo relazionale immanente di interiorità-esteriorità, o di sensibile-intellegibile che si processa e produce in/un divenire incrociato. Il divenire di un pensiero o di un’idea (astratti o meno) cioè che si vuole fare rappresentazione e presenza percepibile (esterna), intrecciando sensibilità e linguaggio e coagulando magari i nessi che un sema come HABITUS propone a proposito del suo essere figura e forma come immagine esteriorizzata e dinamica. Una corporeità, visibile e tattile che, con il pensiero e la parola (l’intellegibile del linguaggio discorsivo) e gli stessi effetti estetici, stabilisce una particolare espressività in situazione, aperta a un reciproco sguardo indagatore e analitico tra arte e vita.

È il caso di una mostra di pittura di Sal(vatore) Giampino che, già all’insegna di HABITUS/“L’identità naturalmente instabile”, ha avuto la sua personale nella sala “Cavarretta” del “Convento del Carmine” (5-15 giugno 2015, Marsala). La personale che ha proposto un insieme di opere in cui pittura e parole (enunciati in “contiguità” espositiva) si sono sperimentate sul terreno dell’espressione dell’identità gender. Un’esposizione che, al contempo, pare aver posto anche stimoli per aprire l’arte ai temi del “trans”, della “teoria queer” o di identità che sfuggono al principio dell’individuazione identitaria. Paradossalmente, l’operazione pittorica di Sal(vatore) Giampino ha messo in pubblico la disidentificazione come “crisi” e divenire-individualità-altra (cosa che non può non rimandarci alle letture della storia delle forme d’identità di cui Michel Foucault ha dato ampia e documenta prova attraversando la modernità con i suoi studi e le sue analisi critici e radicali (Michel Foucault, Storia della follia e Storia della sessualità…).

Parte di queste opere poi – ritornando a Sal(vatore) – sono state presentate pure al 4° appuntamento del Workshop-Expo de IL FEMMINILE e L’IMMAGINARIO (28-31 Ottobre 2015, “Convento del Carmine”, Marsala), ideato, organizzato e diretto da Alfredo Anania, psicoanalista e sostenitore della psicologia dinamica di ispirazione junghiana.

Ma qui (per inciso) piace anche ricordare che alcune di queste tele Sal(vatore) Giampino le ha esposte nel contesto della serata (20 agosto 2015, “2rocche”/Capo Boeo di Marsala) di arte e poesia dedicata al tema “Erezione eretica. Insurrezione erotica” (la serata, ormai è tempo, annualmente e autonomamente organizzata dal gruppo “Ong non estinti poetry”). Una manifestazione in cui, reciprocamente, si sono scambiati gli sguardi delle immagini dell’arte e le immagini della parola poetica all’insegna del desiderio e delle sue economie comunicative dirompenti. Il desiderio non è privo di logiche. Insieme alle opere di Sal(vatore) Giampino c’erano anche le opere gender di Giacomo Cuttone, Peppe Denaro e Gerry Bianco. Quasi l’annuncio e l’inaugurazione di una linea pittorica che, aspettando il futuro, può accomunare soggetti di diversa esperienza e temperie culturale per avviare, forse, il cammino ibridato delle forme della poiesis.

Ma torniamo a HABITUS, la parola chiave. HABITUS è la parola latina che traduce il termine greco schêma. Per i latini schêma/schêmata era un denominatore comune per espressioni che si riferivano sia ad «habitus, cultus, vestitus, gestus, sermones e actiones, quanto a (corsivo nostro) atteggiamenti, abbigliamento, modo di comportarsi, figure della danza, forme di governo, modi di vivere, figure retoriche, grammaticali, geometriche, astronomiche…e least but not least alle opere d’arte» (Mario Perniola, La forma come schema e sequenza storica, in L’estetica contemporanea, 2011). Nell’uso della lingua latina lo schêma/habitus si presenta come un medium ibrido, un intreccio inscindibile di figuralità verbali e non verbali; e il pittore Sal(vatore) Giampino sembra averne ereditato il modello secondo le variabili poste in essere.

HABITUS allora agisce come un cavo attivo e bivalente. Una forma che, di volta in volta, differenziando – come un modello che si incorpora e singolarizza ogni opera della collezione esposta –, il nostro pittore ha scelto e adoperato per dare un nome collettivo alla sua personale sul divenire-identità gender. L’idea di questa identità così trova una forma per costruire un’immagine (un’esteriorità) che coesiste in contiguità con la parola (accanto ad ogni opera pittorica, o installazione, il pittore Giampino ha affiancato un nunciato); e la parola di questo enunciato dice sia ciò che l’opera fa vedere sia ciò che il pittore ha fatto, ma anche ciò che lo stesso pittorico-visibile può potenzialmente offrire e desiderare gli si chieda in termini di chi-cosa-come… (può essere sia l’indicibile, o l’indiscernibile, o un semplice incrociarsi degli sguardi, o anche proprio nulla).

In Euriala e Nisa (opera presente al quarto appuntamento del Workshop-Expo), l’artista lascia accanto, infatti, una scritta che recita: «“ESSERE GAY NON È UNA SCELTA. È UN’ESSENZA NATURALE COME IL PROFUMO DI UN FIORE, O LA BREZZA DEL VENTO”». Qui la parola – “COME” –, supportando l’immagine (dall’impasto cromatico materico-sfumato e dai tratti de-bordanti che stimolano sia la vista che il tattile), rende esteriorizzato e esteticamente percepibile il “percettibile” del divenire-gay come il divenire-profumo di un fiore (che non è il profumo) o il divenire-brezza del vento (che non è il vento). Il come diventa un habitus a guisa di un modello di transito chiasmatico immagine-parola. Anche il tratto pittorico sfumato – che della linea fa un bordo, che insieme limita e de-limita la configurazione della superficie delle tele – dà agio alla corporeità dei dipinti (che ha soggettivato-oggettivato la verità-gay), inducendo lo sguardo a guardare il come un transito; sì che il modello HABITUS comunica allo spettatore che l’immagine pittorica è un co-variare continuo resoci dal medium schêma/schêmata. Crediamo che lo stile del bordo, che non separa nettamente gli elementi della totalità del quadro, e il modello HABITUS, che intreccia insieme immagine e parola, significanza e aisthesis dell’immagine pittorica, siano i due aspetti complementari per leggere-guardare i lavori del nostro pittore sul versante dell’assunzione di una diversa politica dell’arte (dimensione comune agli amici pittori che l’hanno visto insieme nella serata alle “2rocche” del 20 agosto 2015).

Una potenza della produzione, questa, che, fra le altre cose, co-implica la responsabilità etico-politica della poesia, dell’arte e della politica degli stessi processi di ristrutturazione cognitiva e pragmatica del mondo. A nessuno è sconosciuta la funzione e l’utilizzo del potere simbolico nei rapporti fra gli animali umani e la loro socialità politica. In generale, ars e praxis non sono scisse.

Dalla semiologia pre-simbolica, a quella significante e alla stessa semiotica a-significante degli automatismi logico-linguistici informatizzati – quelli preposti al governo dell’economia del desiderio e alle radiografie di ogni cosa –, i pennelli e le parole non possono prendere le distanze che rimanendo critica immaginazione e lingue-scritture vive, attive e immanenti ai processi della produzione materiale e storica dell’arte-facere.


Antonino Contiliano