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05/01/2016 06:30:00

I deputati dell'Ars non pagano le tasse. Riscossione Sicilia pubblica i loro nomi

 Tra i deputati regionali della provincia di Trapani solo due, Palmeri e Gucciardi - che è anche assessore regionale alla sanità - sono in regola con il pagamento delle tasse regionali. Gli altri, chi più chi meno (qualcuno anche per pochi centesimi di euro) sono morosi. Tra i morosi spicca il deputato del Pd di Trapani, Paolo Ruggirello. Riscossione Sicilia ha presentato nei suoi confronti una cartella esattoriale da oltre 50.000 euro. 

Riscossione Sicilia, la società regionale che riscuote le tasse, finisce in rosso, l’Assemblea dei deputati siciliani ne boccia la ricapitalizzazione e il presidente della partecipata va all’attacco: «Depositerò dai pm la lista coi nomi dei deputati che non pagano». E prima ancora di arrivare in Procura, la lista di chi si è è visto attivare il pignoramento per vecchi debiti non pagati finisce sulle pagine de La Sicilia. Antonio Fiumefreddo, presidente di Riscossione Sicilia, dichiara guerra, dunque, e dopo aver parlato di «politici mascalzoni», apre un nuovo capitolo della querelle.

Sarebbero 24 i deputati regionali per i quali Riscossione Sicilia ha attivato il pignoramento, per cifre comprese tra i 2.082,47 euro di Giuseppe Gennuso (Gs-Pid) e i 55.927,04 di Giovanni Di Giacinto (Megafono-Pse). Secondo quanto riferisce La Sicilia tra loro ci sarebbe anche il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone (Udc), con 3.507,63 euro. Ma lui, in una nota, sostiene che «non ho alcun pignoramento in corso, né Riscossione Sicilia ha titolo alcuno per avviare un’azione esecutiva nei miei confronti. Mi sono visto costretto – continua – a rinnovare l’incarico all’avvocato Salvatore Giannone del Foro di Messina, per tutelare i miei diritti di cittadino». Sempre secondo quanto riporta La Sicilia sarebbero sedici i parlamentari che hanno deciso di ricorrere alla rateizzazione, completa o parziale, anche perché le cifre salgono: si va dai 10.083,90 euro di Anthony Barbagallo (Pd) ai 187.451,26 euro di Raffaele Nicotra (Pd). Tra loro anche il governatore Rosario Crocetta (39.513,83 euro) e il presidente dell’Antimafia, Nello Musumeci (110.296,84 euro). Ci sono anche 14 deputati dei 90 presenti all’Ars senza debiti con Riscossione Sicilia e altri due non censiti. Gli altri, fra cui alcuni parlamentari del M5s, hanno debiti inferiori ai 2.000 euro, e quindi non «aggredibili» da Riscossione Sicilia, che svolge sull’Isola le stesse attività affidate a Equitalia a livello nazionale.

“Solo” 14 su 90 sono i parlamentari che non hanno alcun debito pendente con Riscossione Sicilia (Alongi, Cancelleri, Cappello, Ciancio, Cirone, Cracolici, D’Agostino, Figuccia, Fontana, Gucciardi, Mangiacavallo, Palmeri, Sammartino e Venturino).

La settimana scorsa l’assemblea ha approvato un emendamento soppressivo, presentato dal M5s, che ha cassato la norma del disegno di legge sulle variazioni di bilancio 2015 che assegnava 2,5 milioni di euro a Riscossione Sicilia. Contro l’emendamento si era espresso il governo, rappresentato in aula dall’assessore all’Economia Alessandro Baccei, e a maggioranza anche la commissione Bilancio. Applausi dai banchi dei 5stelle quando il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, ha letto l’esito della votazione. Alcuni deputati, come Claudia La Rocca (M5s), prima della votazione avevano criticato il governo per avere previsto l’assegnazione dei fondi a Riscossione Sicilia in assenza di un piano industriale da parte della società. “Non lo posso fare certamente io il piano industriale, l’ho sollecitato almeno dieci volte alla società, spetta a loro farlo”, aveva risposto l’assessore Baccei. Anche il presidente della commissione Bilancio, Vincenzo Vinciullo, intervenendo in aula, aveva sottolineato che la stessa richiesta a Riscossione Sicilia è stata fatta dalla commissione, annunciando che è pronta una lettera di ammonimento indirizzata al Cda. Per il governatore Rosario Crocetta il voto dell’Ars che ha cassato la norma per la ricapitalizzazione di Riscossione Sicilia “è un atto gravissimo in una fase in cui è impegnata nella lotta all’evasione”, perché adesso la società “sarà costretta a portare i libri contabili in Tribunale” con la gestione “che così passa a Equitalia, quello che questo Parlamento non vorrebbe”.

Sergio Rizzo, sul Corriere della Serai, scrive un commento proprio su Riscossione Sicilia, e sul paradosso di una società per la riscossione tributi che è in rosso:

Mercoledì scorso schiumava rabbia Antonio Fiumefreddo, alla notizia che l’assemblea regionale siciliana aveva affondato la ricapitalizzazione della società regionale da lui presieduta. «Mascalzoni travestiti da uomini delle istituzioni» ha definito i franchi tiratori responsabili di aver votato contro il finanziamento a Riscossione Sicilia, che ha il compito di incassare le tasse nell’isola, aprendo così uno scenario denso di incognite. Non era certo la prima volta che la Regione veniva chiamata a tappare i buchi delle esattorie, anche se questa volta più che di buco si dovrebbe parlare di voragine.

Quattordici milioni e mezzo nel 2014, il doppio del 2013, e chissà quanti nel 2015. Per farsi un’idea basta leggere la relazione all’ultimo bilancio approvato a marzo scorso, dove testualmente «non si esclude che in assenza di idonei interventi normativi o di significativi incrementi dei ricavi, i soci saranno chiamati ad apporti finanziari tali da garantire la continuità aziendale». Dove per soci si intende la Regione siciliana, che ha il 99,952% ed Equitalia, con lo 0,048%. Nel solo 2014 le perdite hanno superato di slancio i 20 mila euro per ciascuno dei 702 dipendenti. La riscossione sui ruoli è scesa del 16,7 per cento, con un crollo del 31,7% a Palermo, mentre gli incassi sugli avvisi di pagamento sono precipitati dell’81,8%.

Quanto alla produttività, dice tutto questo paragone: 16 centesimi per euro riscosso il costo di Riscossione Sicilia, 12,8 quello di Equitalia. Sappiamo quanto sia stata travagliata la storia delle esattorie siciliane, e non ci sfuggono le difficoltà di un’economia così fragile qual è quella isolana. Ma che sia normale per una società incaricata di riscuotere le tasse chiudere i conti perennemente in perdita.