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20/02/2019 10:01:00

Estorsioni a Petrosino. Il titolare del bar vittima del pizzo: "Era solo un prestito..."

 E’ apparso in notevole difficoltà, davanti il Tribunale di Marsala, il gestore di un bar di Petrosino presunta vittima di estorsione. Infatti, le sue dichiarazioni non sono affatto collimate con quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche effettuate dai carabinieri nel corso delle indagini poi sfociate nel processo che vede alla sbarra degli imputati Gaspare D’Aguanno, di 33 anni, e Giuseppe Bonafede, di 38 anni.

Il primo, Gaspare, è figlio e fratello, rispettivamente, di Vincenzo e Alessandro D’Aguanno, arrestati il 10 maggio 2017 nell’operazione antimafia “Visir”. I D’Aguanno sono di Strasatti.

Adesso, in aula, Michelangelo Sanguedolce, titolare del Bar Sandokan di Petrosino, afferma che sapeva che prima o poi Gaspare D’Aguanno gli avrebbe restituito i soldi che gli chiedeva. Sarebbero stati, insomma, dei piccoli prestiti.

Al teste presunta vittima di estorsione, però, il presidente Vito Marcello Saladino ha fatto più volte notare che dalle intercettazione emerge una verità sostanzialmente diversa.

Al telefono, infatti, Sanguedolce, parlando prima con Alessandro D’Aguanno e poi con il petrosileno Marco Buffa (il secondo arrestato lo scorso anno nell’operazione antimafia “Annozero” e recentemente scarcerato) diceva che non ne poteva più delle ripetute richieste di denaro di Gaspare D’Aguanno. Appare esasperato. Ma soprattutto del comportamento talvolta tenuto da quest’ultimo, magari quando beveva un bicchierino di troppo, che rischiava di allontanare i clienti dal bar. Ci sarebbero state, poi, consumazioni al bar non pagate. Nessuna risposta convincente neppure alla domanda: “Perché non chiamava i carabinieri o non lo allontanava personalmente? E perché si rivolgeva ad Alessandro D’Aguanno e a Marco Buffa?”. A dare, subito dopo, una spiegazione di quelle richieste di denaro è stato Alessandro D’Aguanno. “Il venerdì e il sabato sera – ha dichiarato quest’ultimo, ancora sotto processo nel ‘Visir’ – facevo il buttafuori nel bar di Sanguedolce, che faceva da pub, per un compenso di 80 euro a notte. Ma quando, alle 5 del mattino si chiudeva e c’era la moglie, perché il marito intorno a mezzanotte andava a dormire, mi sembrava brutto chiedere a lei il pagamento. I soldi che mio fratello chiedeva, anche se con modi che Sanguedolce non gradiva, erano dunque i miei”. Il presidente Saladino lo ha, quindi, incalzato chiedendogli perché Sanguedolce si rivolgeva a Marco Buffa per lamentarsi del fratello? “Perché ad un certo punto – ha risposto Alessandro D’Aguanno – io, per circa un mese, non gli rispondevo più al telefono”. Ma è stato proprio su questo punto che il presidente del collegio giudicante lo ha colto in fallo, dicendogli che dalle intercettazioni emerge che un giorno Sanguedolce telefonò a Buffa “appena 12 minuti dopo” aver parlato, sempre al telefono, con lui. “Non lo sapevo” ha detto D’Aguanno.

A difendere i due imputati, arrestati nel maggio 2017, sono gli avvocati Luigi Pipitone e Antonino Zichittella. Pm è Giulia D’Alessandro. Gaspare D’Aguanno e Giuseppe Bonafede furono arrestati dai carabinieri a fine maggio 2017. Secondo gli investigatori, l’estate precedente, i due, dopo aver avvicinato il cliente di un bar, lo avrebbero minacciato per farsi consegnare 100 euro. Dopo aver ottenuto 50 euro, tutto il denaro che il ragazzo aveva con sé, si sono allontanati. A D’Aguanno vennero contestati altri due reati commessi nel settembre 2015: rapina e danneggiamento ai danni di un bar di contrada Fornara, quando, dopo essersi impossessato di 50 euro dal registratore di cassa, avrebbe danneggiato alcuni frigoriferi e una vetrina per guadagnare la via di fuga.