Quantcast
×
 
 
04/08/2019 06:00:00

Mafiosi e massoni insieme a Licata. Gli affari dei boss con l'aiutino degli insospettabili

Dove non arrivavano i mafiosi, ci pensavano i massoni amici dei mafiosi. Lo scambio di favori tra boss e questo genere di fratelli muratori, nonché la tutela dei reciproci interessi illegali, sono gli argomenti centrali dell'indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia e dai carabinieri di Agrigento e del Ros contro la cosca di Licata. Sette i fermati, tra cui un insospettabile funzionario regionale, Lucio Lutri di 60 anni, originario di Mistretta e in servizio a Palermo presso l'assessorato regionale all'Energia, considerato l'anello di collegamento tra il clan e le logge.

Il personaggio di maggior spessore criminale, arrestato nell'operazione "Halycon" secondo l'accusa, è però Giovanni Lauria, 79 anni, detto «il professore», indicato come il boss di Licata, con una condanna per mafia passata in giudicato. In cella sono finiti pure il figlio Vito, 49 anni, e appunto Lucio Lutri, che con Lauria junior divide l'appartenenza alla massoneria. Gli altri arrestati sono Angelo Lauria, 45 anni, cugino di Giovanni Lauria, farmacista e componente supplente dei probiviri della Banca Popolare Sant'Angelo di Licata, e poi Giacomo Casa, 44 anni, Giovanni Mugnos, di 53, Raimondo Semprevivo, 47 anni. Vito Lauria è maestro venerabile della loggia di Licata «Arnaldo da Brescia», appartenente al Grande Oriente d'Italia (Goi). Lutri, dipendente dell'assessorato all'Energia, dove si occupa di finanziamenti pubblici, è stato maestro venerabile della loggia palermitana «Pensiero e azione» e oggi è «copritore interno» nella stessa loggia, inaugurata a Palermo nel 2016. I carabinieri stanno individuando i componenti di queste logge, tramite gli appositi elenchi, che potrebbero avere favorito le attività dei due arrestati.

Mafiosi e massoni si sarebbero messi d'accordo per ridurre un debito e per questo cercavano un accordo con un legale, l'avvocato palermitano Renato Vecchioni, che rappresentava la controparte. Per ora è solo un'ipotesi, come precisano gli stessi inquirenti, che si sono preoccupati prima di spedire in carcere gli indagati per associazione mafiosa e concorso esterno e adesso stanno procedendo per verificare altri possibili reati come la corruzione.

La vicenda riguarda il funzionario regionale massone Lucio Lutri che, secondo l'accusa, ha messo a disposizione la sua rete di conoscenza e contatti con fratelli con l'abitino e altri personaggi per realizzare i piani della cosca di Licata. Sette i fermi scattati mercoledì. Lutri avrebbe brigato per l'estinzione di un debito da 40 mila euro che Giovanni Mugnos, uno degli arrestati, aveva nei confronti dell'Ismea, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare. 

Le indagini e le intercettazioni - I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Agrigento seguono le mosse del massone e dei suoi amici e viene «documentato che Lutri, Mugnos ed altri soggetti, tra cui Di Nino si incontravano a Palermo nei pressi dello studio dell'avvocato Vecchioni - scrivono i magistrati - e nell'occasione Mugnos consegnava a Lutri una busta di colore giallo». Cosa contiene quella busta? Le indagini sono in corso, sta di fatto che il 19 luglio 2016 «Lutri contattava ancora Mugnos - si legge nel provvedimento - e nell'occasione confermava che bisognava muoversi celermente e “dare la disponibilità all'avvocato di potersi muovere”, aggiungendo che al legale doveva essere data una somma di denaro per le spese che avrebbe dovuto sostenere. Affermava che, suo tramite, bisognava fare avere all'avvocato circa 5.000 euro, puntualizzando inoltre che, solo perché Mugnos era “la stessa cosa” di Ginetto (Giacomo Casa, un altro dei fermati della retata di mercoledì), non gli aveva chiesto 10 mila euro (“Giovanni io ti dovevo dire 10 mila euro ma non te lo dico … perché non mi sembra corretto, va bene? eehh ti sto dicendo andiamo… perché tu sei Ginetto!”)».

La costruzione di un villaggio per vacanze tra Licata e Gela: anche su questo la mafia ha voluto mettere le mani. Una delle due condotte estorsive ricostruite nell'operazione «Halycon» riguarda proprio la società «Alberghiera Mediterranea S.r.l (con sede a Messina ed il cui amministratore unico è Pietro Franza) impegnata nella realizzazione del complesso turistico alberghiero a Licata, in località Canticaglione.

Ed in questo caso sembra che la cosca abbia fatto breccia perché come accertato dai carabinieri - secondo le carte dell'inchiesta - la ditta esecutrice dei lavori è stata la Sei Snc di Giuseppe Bugiada &C. il cui socio, per il 5 per cento del capitale è Alberto Occhipinti, figlio di Luciano e nipote di Angelo, inteso Piscimoddu, arrestato nell'operazione Assedio.

Ancora una volta il promotore dell'affare sarebbe Giovanni Lauria, referente mafioso di Licata, ossia del luogo dove si sarebbero dovuti svolgere i lavori per la costruzione del complesso turistico alberghiero. Lauria si era rivolto a due esponenti di Cosa nostra calatina affinché, per questioni di «competenza territoriale», essi si facessero carico di contattare il rappresentante della società aggiudicataria dei lavori, ciò nella errata convinzione che questa avesse (ancora) sede in Aci Catena e che il suo amministratore unico fosse (ancora) il catanese Salvatore Zappalà.

Le mani della mafia sulle demolizioni di immobili abusivi a Licata. Emerge anche questo dalle carte dell'inchiesta «Halycon». In particolare, secondo gli elementi raccolti dagli investigatori, sarebbe stato accertato che alla cosca mafiosa locale, rappresentata e diretta dall'anziano boss Giovanni Lauria, avrebbe fatto gola l'appalto da 500 mila euro che il Comune di Licata aveva bandito nell'ottobre del 2015 (quando era sindaco Angelo Cambiano, sfiduciato dal Consiglio comunale nel 2017), poi aggiudicato alla ditta del geometra Salvatore Patriarca di Comiso. Addirittura l'affare ha smosso la consorteria mafiosa licatese, in collaborazione con quella calatina, ancor prima della stessa aggiudicazione dell'appalto.

Il boss che discuteva con Provenzano - «Lui è troppo buono di cuore, ma è sopra… assai!», «dopo Provenzano e Riina c'è messo lui». Il boss di Licata Giovanni Lauria, alias «il professore», fermato nell'operazione «Halycon», avrebbe avuto un ruolo così importante all'interno di Cosa nostra da poter andare a discutere proprio con Bernardo Provenzano di «fermare il sangue», nel periodo successivo alle stragi. Non solo, come emerge dalle intercettazioni, l'indagato - già condannato per mafia - sarebbe riuscito a tessere una rete di contatti molto fitta, anche tra insospettabili colletti bianchi, e sarebbe arrivato fino alla politica: Lauria, secondo l'accusa, avrebbe infatti interessato il deputato regionale dei Popolari autonomisti, Carmelo Pullara - per i pm massone della loggia Arnaldo da Brescia di Licata - per permettere a suo figlio Vito (fermato ieri e maestro venerabile della stessa loggia) di avere un posto fisso. Pullara replica: «Ancora una volta, amaramente, constato di correre il rischio di finire nel tritacarne mediatico, pur non essendo in alcun modo coinvolto in una vicenda di cui non conosco nemmeno i contorni». Poi aggiunge: «Non sono massone e non sono iscritto a nessuna loggia massonica».