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19/11/2019 16:53:00

“Cella troppo stretta, violati i miei diritti” boss della mafia chiede sconto di pena

Una cella troppo stretta, con poca aria e luce, senza acqua calda. E i locali docce erano “sporchi”. Sono queste le motivazioni che hanno spinto Cosimo Michele Sciarabba a chiedere uno sconto di pena in base a quanto disposto dall’articolo 35 ter dell’ordinamento penitenziario.

Detenuto in regime di 41 bis presso il carcere di Terni – e poi in quello di Trapani – il boss della mafia è finito in manette nel 2012. Fino a quel momento era noto come “mister X” ma poteva vantare un curriculum criminale di tutto rispetto. Figlio di Salvatore Sciarabba – fedelissimo di Bernardo Provenzano – Sciarabba junior veniva ritenuto un astro nascente della nuova mafia palermitana, tanto avere tentato di stringere contatti anche con il superlatitante di cosa nostra, Matteo Messina Denaro.

Lo scorso mese di febbraio, Cosimo Michele Sciarabba aveva inoltrato al tribunale di Sorveglianza di Perugia un reclamo collegato alle condizioni detentive nel carcere di vocabolo Sabbione. Lamentando, come detto, condizione che avrebbero violato i suoi diritti: poco spazio – inferiore a 4 metri quadrati – scarse condizioni igieniche nei servizi, mancanza di acqua calda nelle docce comuni, poca aria e poca luce in cella.

Il ricorso è stato rigettato dal tribunale di Sorveglianza e Sciarabba è arrivato fino alla Corte di cassazione nel tentativo di far valere le sue ragioni e ottenere i benefici previsti dalla legge, ossia la riduzione di un giorno di detenzione ogni dieci giorni relativi alle condizioni oggetto del reclamo e, nel caso di pena troppo bassa per lo sconto, un risarcimento economico pari ad 8 euro, sempre per ogni giorno di detenzione “scorretto”.

Secondo i dati raccolti dall’associazione Antigone relativi alla casa circondariale di Terni (518 detenuti di cui 27 in regie di 41 bis) in realtà le condizioni nelle celle di Sabbione non sono come quelle dipinte dal reclamo di Sciarabba: l’acqua calda – dice Antigone – è presente in tutte le celle visitate e per ogni detenuto ci sono 3 metri quadrati di superficie calpestabile.

E infatti, la Corte suprema ha dichiarato inammissibile il ricorso di “mister X”, condannandolo al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro nella cassa delle ammende.