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31/12/2019 06:00:00

Dai conti in rosso alle riforme mancate. Il 2019 della politica siciliana

 Che anno è stato per la Regione Siciliana? E’ stato certamente un anno lento, che ha visto molte promesse, tante buone volontà, poca pratica, pochissime riforme.


La Sicilia, è inutile nasconderlo, è un fanalino di coda per tutto il Paese,
ultimi per riforme nonostante l’autonomia, ultimi per qualità della vita, che è fatta di servizi, di buona sanità, di collegamenti veloci, di infrastrutture esistenti, di opportunità di lavoro, di svago, di cultura. Solo pochi esempi.
A poco serve avere un bel mare, uno splendido sole ed essere una delle isole più belle al mondo. La politica è stata negli anni immobile, quando si è mossa ha fatto dei danni che oggi si pagano, ancora, a caro prezzo.
La chiusura dell’anno ha visto l’emergenza disavanzo, conti in rosso, spesa regionale bloccata. Eredità del passato, non solamente legata al governo di Rosario Crocetta.


Siamo già al giro di boa per il governatore Nello Musumeci, l’occhio è attento alle elezioni del 2022.
Se concretamente non si metterà mano agli sprechi della Regione, per lo più derivanti dai carrozzoni delle partecipate, poche saranno le speranze per questa terra di essere davvero competitiva. Ma non basta.

Mancano le infrastrutture, si pensi che da Marsala per raggiungere Catania si impiegano circa 4 ore e mezzo, peggio per l’entroterra siculo.
Una cartolina che non gratifica i siciliani. La sanità è stata per anni interi uno spreco continuo e una torta da spartirsi fino all’ultima briciola, le conseguenze si sono pagate negli ultimi anni.

Il lavoro dell’assessore Ruggero Razza è forte, è intenso, ha messo ordine, ha cercato di sbloccare i concorsi, ha lavorato in sinergia con le aziende ospedaliere ma si è visto molto poco nella parte della provincia di Trapani. Presenze centellinate.

E’ una terra disgraziata, grazie alla politica di emergenza che è fatta di “Salva Sicilia”, la programmazione a lungo raggio sembra fantascienza. Eppure in tutte le campagne elettorali ogni candidato si aggrappa al cartello delle riforme come unica via di salvezza. Poi, una volta eletti, lo scenario si ripete.

Questo governo regionale, forse per la presenza in giunta di molti assessori del territorio orientale dell’Isola, è sbilanciato, fortemente, verso quella parte.
Una Sicilia spaccata a metà.

Manca lo slancio per il turismo, per rendere la Sicilia attrattiva e competitiva, mancano le politiche ambientaliste che non sono solo il risultato di una legge sui rifiuti, anche quella ancora mai nata. Stessa cosa per le politiche animaliste, nonostante un super esperto voluto da Gianfranco Miccichè. Non c’è attenzione mirata per i giovani, per la dispersione scolastica, per le fasce deboli, per chi soffre.

Ci sono elementi di novità? No, né al governo e nemmeno all’ARS. Si tratta di deputati che con la politica hanno a che fare da oltre venti anni. Poca linfa propulsiva anche in Assemblea, si fa l’ordinario.

Abbiamo assistito alle richieste di un cambio in giunta di assessori, al reclamo di Forza Italia contro Gaetano Armao, vicepresidente e assessore al Bilancio. Si richiedono nuovi equilibri, si tratta di tatticismo politico che nulla ha a che vedere con il buon governo della Regione.
Troppo semplice sostenere che è difficile governare a causa di responsabilità del passato, Musumeci, i suoi, i deputati di maggioranza, e anche quelli di opposizione, sono lì da decenni e sanno molto bene quello che è stato fatto, che hanno fatto. Ululare alla luna non li esime da responsabilità e colpe.

Il 2019 è stato l’anno in cui la Regione ha perso Sebastiano Tusa, l’assessore ai Beni Culturali, la vera umanità fatta politica, la capacità di tradurre i progetti in percorsi reali di buona pratica. 


Per il resto la Sicilia arranca, è l’insostenibile leggerezza dell’improvvisazione.