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22/10/2020 06:00:00

Rinasce la rivista "Niño. Taccuino di cultura portatile". Intervista a Marcello Benfante

di Marco Marino

Due compagni di gioco. Uno si abbassa, porge le spalle, e permette all’altro di sostenersi e saltare, scavalcarlo. Insieme creano una straordinaria architettura umana, restituendo non un’idea di superamento, ma di completamento.

In questa istantanea rapita dalla matita di Gianni Allegra si sintetizza lo spirito della seconda vita della rivista Niño. Taccuino di cultura portatile (Qanat Edizioni), che torna tra gli scaffali delle librerie vent’anni dopo la sua ultima apparizione, sempre sotto l’attenta e appassionata direzione di Marcello Benfante, critico letterario e scrittore palermitano.

Il primo numero, che porta in copertina quell’istantanea di Allegra, è cominciato con una chiamata alle armi. Un invito a tutti gli amici, scrittori, giornalisti disposti a misurarsi con “il piccolo”, nell’accezione ortesiana del termine, ovvero con tutto quanto abbia per tema i bambini, i giochi, gli animali, gli emarginati, gli ultimi.

Molti sono stati gli accorsi: Giosuè Calaciura, Maria Attanasio, Nino De Vita, Domenico Cacopardo, Gian Mauro Costa, Matteo Di Gesù, Caterina Pastura, Gilda Terranova, Gianfranco Perriera, Marco Bagarella. E decisivi gli artisti che hanno messo i loro lavori in dialogo con gli articoli: il già citato Gianni Allegra, Marco Maldonato, e la compianta Jolanda Insana nell’insolita veste di artista visuale.

Con Marcello Benfante oggi vogliamo parlare di questa sua scelta, inattuale e coraggiosa, di ridare respiro a Niño, offrendo alle patrie lettere un piccolo, nuovo spazio di confronto e dialogo.

Come, e quando, nasce il tuo rapporto con le riviste?

Con le riviste ho lunghi trascorsi. Ne sono innamorato. Ho avuto molte esperienze come collaboratore, e mi è capitato di vestire spesso al loro interno il ruolo di chi spinge: come quando la macchina si ferma ed è necessaria una spinta per farla ripartire. Ecco, io sono sempre disponibile a dare il mio sostegno. Ed è capitato pure che alcune riviste nascessero da me, e che quindi avessero delle mie impronte particolari.

Tra le tante con cui hai collaborato, a quale sei più legato?

Ho avuto una collaborazione molto intensa e molto stretta con la rivista Kaleghè, diretta da Francesco Alaimo, un intellettuale agrigentino molto attento ai discorsi sulla natura, sull’arte, sulla Sicilia. Per me è stata davvero importante, si era stabilito un rapporto di amicizia che è indispensabile perché le riviste funzionino. Altra significante collaborazione è stata con le riviste di Goffredo Fofi, che comincia nel ‘92 e con cui ho collaborato a un gran numero di riviste, per esempio Dove sta Zazà, Linea d’ombra, La Terra vista dalla Luna, Lo Straniero, Gli asini. E poi c’è questo mio antico legame con Segno di Nino Fasullo. Con altre il rapporto è stato più occasionale, più temporaneo, legato ad alcune circostanze ma poi non è continuato nel tempo.

E le tue, a quali hai dato vita?

Tra le riviste che ho fatto io, c'è Casba, di cui ci sono state due edizioni, una prima che era interamente diretta da me, la seconda più collettiva; Nino domani a Palermo assieme a Goffredo Fofi. E naturalmente Niño, che adesso inaugura la sua seconda serie.

Prima dicevi che delle riveste sei innamorato. Posso chiederti perché?

Intanto perché le riviste, più e meglio di libri e giornali, consentono sia di assumere un ruolo individuale sia di riconoscersi in un progetto collettivo. Progetto che può essere anche di una singola persona, ma che poi viene condiviso da altri. Quindi viene necessariamente rielaborato, rivissuto, integrato. Questo rapporto collettivo rende le riviste più vive, più interessanti rispetto alla solitudine dello scrittore. Non sono un prodotto monocorde, ma sfaccettato, eterogeneo.

Quando nascono, frutto di quel lavoro collettivo di cui ci parlavi, qual è il primo pensiero che ti viene in mente?

Quando si realizza una rivista, immediatamente si pensa a quelle che si potrebbero ancora fare. Noi facciamo Niño, dedicato al piccolo, ma sarebbe bello fare anche delle altre riviste, per esempio sui temi del fantastico.

Adesso, vorrei però soffermarmi proprio su Niño. È indubbio che questo nostro tempo di generale crisi non è forse il migliore per giornali e riviste: perché nasce Niño? Cosa ti ha spinto a pensarla e a darle forma?

Oggi servono nuovi spazi per dire alcune cose, piccole cose della massima importanza, che altri non dicono, che le grandi testate tacciono o (peggio) fraintendono, che riducono a luoghi comuni nel tritacarne della grande editoria. Nuovi spazi, anche minimali e fragilissimi, in cui possiamo sentirci in qualche modo liberi e a nostro agio nel dire qualche nostra verità scomoda o semplicemente affermare una nostra indipendenza dai grandi poteri e voleri dell’informazione e della critica. Da queste esigenze e per rispondere strada facendo a queste esigenze è nata Niño.

Potresti parlarci dello spirito di Niño, di questa rivoluzione del "piccolo" in contrasto con la filosofia del grande.

L’editoriale del primo numero è in realtà una sorta di manifesto del “piccolo”. Ciò che è piccolo, cioè debole, marginale, privo di valore per l’attuale sistema culturale, è invece per noi centrale, importantissimo, decisivo. Noi non diciamo come il Corbaccio che “siamo piccoli ma cresceremo”. Diciamo piuttosto che siamo piccoli e intendiamo testardamente restare tali. Perché questa è la condizione che permette di capire le cose più importanti e vere da un punto di vista “basso”. La vera difficoltà è che nell’appiattimento odierno risulta difficile distinguere ciò che grande e ciò che è piccolo. È problematico (ma ancora più necessario) difendere il piccolo in un’epoca in cui, per esempio, l’infanzia o gli animali sono diventati campi di interesse pubblicitario, fette di mercato da sfruttare intensamente. Bisognerà dunque ripartire anche da una difesa, in campo artistico e letterario, di ciò che è davvero grande. Sgomberare il campo dagli equivoci.

State lavorando al secondo numero? Qualche anticipazione?

Sì, il secondo numero è in fase di avanzata realizzazione e uscirà a dicembre (salvo sorprese pandemiche). Aspettiamo solo alcuni contributi per chiudere il numero e affidarlo alle cure dell’editore. Vi saranno, come già nel primo numero, racconti, articoli, illustrazioni inediti e un po’ particolari. Tra le chicche, una sorta di sceneggiatura (in nuce) di Santo Piazzese, un racconto natalizio di Maria Attanasio, una narrazione famigliare di Agata Bazzi. E poi un articolo di Maurizio Clausi su Maus di Art Spigelman e i disegni originali di Alfonso Cucinelli e Gianni Allegra.