Alla fine di ogni competizione elettorale, si usava fare, un tempo, l’analisi del voto e, da quella, ripartire per riproporsi agli elettori, sperando di non ripetere, specie in caso di sconfitta, gli errori commessi.
Analisi del voto che non può certo ridursi nel tiro a bersaglio nei confronti di Tizio o Caio, nella ricerca, a tutti i costi, di un qualsivoglia capro espiatorio, ma deve partire da alcuni dati di contesto.
Un contesto caratterizzato da due incontrovertibili evidenze:
a) L’eclisse dei “corpi intermedi”, a cominciare dai partiti;
b) La conseguente “solitudine” degli amministratori.
Analizziamo la prima.
“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, così recita l’articolo 49 della Costituzione italiana.
E così è stato per lungo tempo, poi è arrivata la crisi del sistema dei partiti, degenerato in “partitocrazia”.
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali.
Nell’intervista concessa ad Eugenio Scalfari, nel 1981, così Enrico Berlinguer fotografava la situazione.
Quindi, il loro declino i partiti se lo sono cercato. Ma, chiediamoci, cosa s’è sostituito ad essi?
Il nulla o quasi. Una sorta di notabilato di ritorno. La trasformazione in taxi che i vari capibastone di ogni orientamento politico usano per fini strumentali e personali. Sovente la loro totale scomparsa.
E allora? Allora occorre tornare a quel che i partiti – fino agli anni Settanta – erano stati: luoghi del confronto e palestre di formazione politica per le nuove generazioni: così, almeno, io e i miei coetanei li abbiamo conosciuti: una sorta di “Università parallela” che abituava alla “battaglia delle idee” e selezionava la nuova classe dirigente del Paese.
Per dire, contava poco che tu fossi sindaco, deputato regionale o nazionale se non acquisivi prima, con la forza dei tuoi argomenti, delle tue analisi, delle tue proposte prestigio e autorevolezza all’interno del partito: era così per il PCI ma anche per le altre forze politiche della cosiddetta e tanto vituperata – e, per innumerevoli aspetti, non a torto – Prima Repubblica.
Preso atto della crisi irrimediabile della forma-partito, dunque, occorre trovare il modo di creare altre forme, altri luoghi ove sia possibile, specie per le nuove generazioni, crescere sotto il profilo civile e politico. E, da questo punto di vista, non mi pare che il M5S e la piattaforma Rousseau siano riusciti a costruire un’alternativa credibile ed efficace.
Veniamo ora alla seconda evidenza.
Anche per le ragioni sopra esposte, ai giorni nostri, la politica la fanno solo quelli che rivestono ruoli istituzionali, senza partiti organizzati che li confortino nell’adempimento dei loro doveri, senza alcuna partecipazione degli iscritti e dei simpatizzanti ai processi decisionali.
Nel caso, poi, dell’Amministrazione Di Girolamo, questi limiti si sono accentuati visto il carattere ostico del Sindaco che, talvolta, sembrava scambiare il suo ruolo di Primo Cittadino con il ruolo di Primario (Cittadino) esercitato per anni, peraltro con indiscutibile autorevolezza, nel nosocomio trapanese.
A tutto ciò aggiungiamo che l’Amministrazione uscente – dopo aver vinto le elezioni, non dimentichiamolo mai, anche con i voti di personaggi che non vanno tanto per il sottile quando si tratta di valutare la qualità dei loro consensi - non ha certo brillato per capacità di comunicazione.
Eppure, avrebbe potuto rivendicare con più forza e convinzione di non essere stata intaccata dagli scandali che hanno coinvolto tante Giunte in provincia di Trapani, di essere stata costretta a fare i conti con il considerevole debito di bilancio ereditato, di essere stata capace di intercettare cospicui fondi UE, etc.
Si può spiegare così, almeno in parte, da osservatore esterno, la cocente sconfitta subita.
Com’è ovvio, per quest’ultima, non è certo il caso di piangersi addosso ma, al contrario, occorre rimboccarsi le maniche e costruire, dall’opposizione, una proposta che possa convincere gli elettori.
Lo stesso Alberto Di Girolamo, i consiglieri di centrosinistra eletti nelle varie liste, ma anche Daniele Nuccio, Linda Licari, Lillo Gesone ed altri potranno essere tra i protagonisti della riscossa: a patto, però, di accorciare la distanza che l’autolesionistico atteggiamento del Sindaco, ha provocato tra il Palazzo e la Piazza.
Non c’è alternativa, funziona così la democrazia. E, per dirla con Winston Churchill: “La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Ma la democrazia presuppone due pre-condizioni: che esista un’opinione pubblica degna di questo nome e che i cittadini esprimano i loro consensi con consapevolezza e libertà. Sapendo che la libertà, come cantava Giorgio Gaber proprio negli Anni Settanta: “non è star sopra gli alberi, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione”.
Giacomo Nino Rosolia