«Addio, Maestro». È stata questa ieri, 18 maggio 2021, la formula di commiato che molti di noi hanno scelto per dare l’ultimo saluto a Franco Battiato sui loro social.
Una citazione più o meno esplicita di un celebre verso del cantautore siciliano, «e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire» (Prospettiva Nevski), ma non solo.
Perché in quel vocativo, maestro, si concentra e si riassume un’esperienza comune, che proprio ieri è risultata a tutti evidente: fin dagli anni Sessanta, la musica di Franco Battiato, oltre alla fascinazione mistica e alla lirica civile, è stata un vero magistero. Una pedagogia dello spirito, un’inedita forma di meditazione. Un esercizio di alterità.
Sì, in effetti, quando pensiamo a Battiato, una delle prime parole che sovviene è «altro»: l’altro come «l’altrove» e l’altro come «diverso». I mondi lontanissimi e l’animale che abbiamo dentro. Sono due aspetti che l’autore dell’Era del cinghiale bianco ha indagato sistematicamente nella sua sterminata produzione, due modi per cercare chi non siamo o chi non siamo ancora. L’altro che non siamo o che non siamo ancora.
Sarebbe, infatti, facile immaginare le sue canzoni come corollario di quell’enigmatico verso di Giovanni della Croce, «per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai»: sicuramente per Battiato queste parole sono state un metodo. Un metodo che ha fatto in tempo a insegnarci.
Ci ha insegnato a fidarci più del suono e delle immagini trasmesse dal canto che del senso delle parole. Paradossalmente, la ricerca di senso ostacola il percorso di comprensione della realtà. Impedisce il passaggio nell’oltre, nell’altro, che ciascuno di noi dovrebbe perseguire. Ecco, Battiato forse è stato uno dei più grandi autori del Novecento musicale italiano perché è riuscito a mostrarci l’incomprensibilità della poesia come valore e piacere.
Non è necessario capire Battiato per amarlo. Non è necessario intendere verso per verso ciò che canta.
Cantare con lui le sue canzoni, però, in quella aura oscurità, nell’ombra della luce, significa partecipare a un mistero, significa sentirsi in viaggio. Verso un altrove superiore, diverso, nuovo. Ancora una volta, altro.
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