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26/10/2021 06:00:00

Rincari e speculazione internazionale. Così aumenta il prezzo del grano (e pane e pasta costano di più)

 A Marsala, Trapani e nel resto della provincia dalla prossima settimana il pane costerà di più. Ce ne siamo occupati nei giorni scorsi su Tp24.

Ma più in generale, che sta succedendo? Scarseggia il grano. La filiera siciliana non riesce a contrastare la speculazione straniera. E così pane e pasta costano di più.

Bisogna andare a ritroso, nella filiera, per capire cosa c’è a monte dell’aumento dei prezzi di beni di prima necessità, come pane e pasta. Prezzi che registrano aumenti di ben il 50% a volte, quando produttore e consumatore finale spesso distano poche decine di chilometri.

Alcuni numeri. Tre mesi fa, a trebbiatura in corso, il grano costava praticamente la metà. Tra maggio e luglio ci volevano al massimo 27 centesimi per un chilo di grano. Oggi costa 55 centesimi, in alcuni casi anche di più, 60, 70 fino a punte di 90 centesimi. Con inevitabili ripercussioni per panificatori, pastifici e soprattutto per i consumatori finali, che dovranno pagare il prodotto finale di almeno il 20% in più. Le previsioni non sono delle migliori. A Natale, se così continuano le cose il prezzo aumenterà ancora, e un pacco di pasta potrà costare fino a 20 centesimi di euro in più.

Uno dei fattori è proprio la carenza di grano a livello nazionale. La produzione italiana non basta per produrre pane e pasta per tutto il Paese. Così bisogna importarlo dall’estero, Canada in testa. L’importazione dal Canada è una novità degli ultimi mesi. Sono venute a mancare, infatti, le importazioni di grano dalla Cina, ben più economico.

Ed è proprio il mercato globale a dettare legge. Il sentore è comune: c’è chi specula con le materie prime. Il grano, storicamente, è tra queste. Giochi di borsa che ricadono poi sulla tavola di ognuno di noi. Pochi, oligopolisti, che mettono da parte le riserve di grano per generare carenza e crescente richiesta, e di conseguenza farne aumentare il prezzo.

Dall’altro lato c’è la difficoltà dei produttori siciliani che si sono visti aumentare i costi con percentuali a doppia cifra. “Basti pensare, ad esempio, che i carburanti agricoli sono aumentati del 35%”, dice Enzo Daidone di Feder.Agri Trapani. “Per non parlare di tutto ciò che serve per produrre, come il ferro, lo zinco, e altri materiali. O ancora i concimi chimici. In pochi mesi sono praticamente raddoppiati. Pensate che un quintale di grano costa 50, 60 euro, mentre un quintale di concime costa 90 euro”.

“La preoccupazione dell’incremento del prezzo del grano non può però giustificare l’aumento di prodotti che derivano dal grano stesso” aggiunge Daidone.

L’aumento del carburante, dei costi di produzione, in sostanza dovrebbe portare a rincari anche per altri prodotti, come olio e vino. Cosa che invece non succede, segno che il mercato globale incide maggiormente.

L’altra associazione di categoria, la Coldiretti Sicilia, ha lanciato l’allarme legato al rincaro di tutte le materie prime, a partire dalle operazioni che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la concimazione e la semina, fino a tutto ciò che riguarda il costo del gasolio e della manodopera.

Il calcolo fatto è impietoso. Lo scorso anno seminare un ettaro di terreno costava 350 euro, quest’anno si arriva a circa 600 euro. Costi alle stelle che potrebbero portare gli agricoltori alla decisione drastica di desistere, di non seminare più, e di convertire i terreni a qualcos’altro. Di utilizzarli per impiantare, magari, parchi fotovoltaici. E qui si inserisce un’altra grande questione che riguarda tutta l’agricoltura siciliana.

«La situazione gravissima riguarda anche l’esaurimento delle scorte dei concimi che, proprio perché sono limitati, vengono venduti a prezzi altissimi – denuncia Coldiretti Sicilia in una nota -. Il rincaro dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli di produzione, trasformazione e conservazione lungo la filiera, dal campo alla tavola. L’aumento è destinato a contagiare l’intera economia perché riduce il potere di acquisto dei cittadini e delle famiglie».



Agroalimentare | 2024-12-13 06:00:00
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