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01/11/2022 06:00:00

Antimafia e giornalismo. Cosa ci dice l'assoluzione dei fratelli Aprile

 I fratelli Giovanni e Claudio Aprile sono assolti dalle accuse di violenza pluriaggravata a pubblico ufficiale, minacce e danneggiamento, reati aggravati dal metodo mafioso, nei confronti dell’avv. Adriana Quattropani. E poi ancora Claudio e Giovanni Aprile, Sergio Arangio e Giuseppe Di Salvo sono assolti dalle accuse di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti dal Collegio presieduto dalla dott.ssa Giuseppina Storaci con a latere le giudici Giuseppina D’Antoni e Martina Belpasso del Tribunale di Siracusa - sezione penale.

Approfondiamo l’esito di questa sentenza con l’avv. Giuseppe Gurrieri, legale degli imputati insieme all’avv. Antonino Campisi.

Un risultato tutt’altro che scontato quello che lei e l’avv. Campisi avete registrato.

«Non esistono processi dall’esito scontato e questo lo era meno degli altri perché proveniva da una condanna definitiva inflitta ad altri tre coimputati che avevano deciso di essere giudicati con il rito abbreviato. Ciò nonostante ero abbastanza fiducioso perché nel corso del dibattimento non erano emersi elementi di colpevolezza nuovi rispetto all’impianto accusatorio iniziale».

Riepiloghiamo e contestualizziamo brevemente il fatto.

«La collega Adriana Quattropani, incaricata quale curatore fallimentare, subisce il danneggiamento della propria autovettura con una bomba carta nel dicembre del 2017 a Pachino. All'esito delle indagini vengono arrestate quattro persone. Una di queste, Aprile Giovanni, viene rimessa in libertà dopo 20 giorni a seguito dell’annullamento del Tribunale del riesame per mancanza di gravità indiziaria, ovvero perché secondo i giudici non erano emersi segnali aventi il carattere della concretezza e gravità tali da ritenere che egli poteva essere responsabile dei fatti che gli venivano contestati».

La notizia balzò agli onori delle cronache nazionali perché il GIP Giuliana Sammartino aveva intercettato propositi criminali da parte di Salvatore Giuliano, mai imputato in questo procedimento, nei confronti di Paolo Borrometi che rassegnò le memorie di questo fatto nel libro “Un morto ogni tanto”…

«Si, a livello mediatico, la vicenda passò in secondo piano perché emerse, a leggere quanto scritto dal GIP, che Giuliano Salvatore - mai indagato in questa vicenda né in altre relative a fatti criminosi nei confronti del giornalista Borrometi - consigliava Vizzini Giuseppe, indagato in questa vicenda, di fare ammazzare appunto il giornalista modicano, aggiungendo sempre nell’ordinanza custodiale che Vizzini Giuseppe riferiva ai propri figli che “Salvatore Giuliano, forte dei suoi legami con i Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un' eclatante azione omicidiaria”».

L’Ordine dei Giornalisti, esattamente come la FNSI e USIGRAI presero le parti di Borrometi, salvo poi cancellare in un momento successivo il comunicato stampa pubblicato sul sito dell’OdG in cui si annunciava la conferenza stampa e rimuovere dalla piattaforma dedicata alla formazione dei giornalisti la lezione di deontologia dove veniva trattato questo evento criminoso.

«Per molti mesi sul sito dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, campeggiava la notizia di una conferenza stampa convocata per solidarizzare con il giornalista Borrometi, in occasione del fatto che quattro persone, tra cui il boss di Pachino Salvatore Giuliano, erano state arrestate per le gravi minacce rivolte al giornalista. Tutto ciò era surreale perché Giuliano era libero e non era nemmeno indagato né mai lo sarà in questa vicenda, e altrettanto surreale perché i soggetti indagati e arrestati dovevano difendersi da un lato dalle accuse che provenivano dalla Procura Antimafia di Catania e, dall’altro lato, dall’accusa proveniente dalla stampa di avere minacciato Borrometi».

In un articolo Borrometi dava anche notizia che Papa Francesco fosse a conoscenza dell’accaduto e condannava coloro i quali venivano individuati come autori del presunto attentato ai suoi danni.

«La cosa, a distanza di anni, mi fa sorridere perché ricordo che il giorno in cui fu rimesso in libertà Giovanni Aprile, ricevetti la telefonata di un collega che stimo tantissimo per la sua intelligenza e che è solito raccontare fatti realmente accaduti commentandoli in maniera ironica e aggiungendo elementi palesemente non veri solo per fare sorridere l’interlocutore. Mi raccontava di quanto aveva letto circa il fatto che Borrometi era stato ricevuto dal Papa e mi diceva che Papa Francesco aveva letto le intercettazioni e conosceva tutti i fatti accaduti a Pachino! Ovviamente lo accolsi con una grande risata e poi la nostra conversazione si spostò su altri temi riguardanti il nostro lavoro. Solo nel pomeriggio, sfogliando le notizie, mi accorsi che quanto raccontatomi era invece riportato allo stesso modo sulla testata online del giornalista modicano. Non mi rimase altro che farmi una ulteriore grande risata, pur consapevole dell’importante danno d’immagine che veniva arrecato a tutta la comunità pachinese».

La Commissione Regionale Antimafia della scorsa legislatura, nell’introduzione di una relazione del dott. Alessandro Sorrentino a firma del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, leggeva che:  Per quanto concerne il fallito attentato con autobomba che sarebbe stato commissionato da mafiosi di Pachino, va evidenziato che lipotesi dellautobomba costituisce uninterpretazione del giornalista, tuttaltro che campata in aria, ma comunque non suffragata da altri riscontri, di una conversazione intercettata nel procedimento penale”. Con questa sentenza cosa possiamo aggiungere? 

«Voglio ribadirlo per dovere di correttezza nella ricostruzione dei fatti: in questo processo nessuno degli imputati è stato mai chiamato a rispondere di fatti che avessero a che vedere con la persona o la figura professionale del giornalista Borrometi. E voglio aggiungere che, in nessun atto di indagine, viene mai profferita o riferita la parola “autobomba” tanto abusata nelle settimane e nei mesi successivi all’aprile 2018 quando vennero eseguiti gli arresti. Ricordo a chi l’avesse dimenticato che addirittura il New York Times si occupò della vicenda, arrivando ad affermare che la Polizia aveva intercettato a Pachino un mafioso che discuteva coi propri figli di uccidere Borrometi con una “car bomb”, ovvero un’autobomba, così come era avvenuto, sempre parole del NYT, alla giornalista Dafne Caruana e ai giudici Falcone e Borsellino. Ancora una volta, la città di Pachino veniva esposta ad un attacco mediatico oltraggioso, falso ed immeritato. Un attacco mediatico che, alla resa dei conti, è stato un tassello privo di fondamento che ha influito nella scelta dello Stato di dichiarare lo scioglimento per infiltrazione mafiosa del Comune di Pachino. Per dovere di giustizia, sarebbe bene che qualcuno a livello istituzionale ed in maniera ufficiale attivasse una commissione di indagine allo scopo di fare luce sull’ennesimo caso di scioglimento di un Comune per mafia però senza la mafia visto che, a gennaio di quest’anno, gli unici ad essere accusati di appartenenza mafiosa e che avevano un qualche collegamento con l’amministrazione comunale, sono stati definitivamente assolti e tutti gli altri amministratori non sono stati nemmeno indagati».