"L'arresto di Messina Denaro? Sembrava una scena già preparata"
L'arresto di Matteo Messina Denaro "sembrava una scena già preparata. Lo scrive nel suo libro in cui fa il bilancio della sua vita in magistratura (il libro si chiama "Siciliana"), Teresa Principato, magistrato che per anni ha dato la caccia al latitante.
"Il 16 gennaio 2023 abbiamo visto tutti in tv le immagini di una clinica palermitana circondata da persone in divisa e sentito, attraverso una porta semiaperta, la voce di un carabiniere chiedere: «Come ti chiami?», e un’altra persona, con atteggiamento un po’ seccato, rispondere: «L’ho detto già, dai» - scrive Principato - A quel punto il carabiniere, temendo che la voce non fosse filtrata attraverso i microfoni, insisteva intimando all’uomo: «Ridillo! Ridillo! Come ti chiami?». E infine l’uomo, con voce strascicata: «Matteo Messina Denaro». Dopodiché abbiamo visto quell’uomo scendere i gradini della clinica, accompagnato da due carabinieri in uniforme, un uomo e una donna, che lo tengono per l’avambraccio, seguiti da un collega in mimetica. L’uomo scende con passo normale, in tempo perché si possa notare il suo elegante montone, con un cappello abbinato. Quindi viene fatto accomodare all’interno di un van nero, che poco dopo parte. All’esterno, un gruppuscolo di persone si complimentano con le forze dell’ordine, «bravi, bravi...». Sembrava una scena già preparata. Non ho visto segni di rabbia, di rivincita, non ho visto l’inequivocabile e comprensibile soddisfazione di una tanto attesa vittoria dello Stato su un simbolo del male e della sopraffazione mafiosa: un simbolo che oramai sembrava essersi definitivamente dileguato".
L'ex procuratrice aggiunta di Palermo, nel suo libro, racconta, come ha fatto in altre occasioni, tutti gli ostacoli che ha incontrato negli anni in cui si è occupata di Messina Denaro, in particolare quando ha cominciato a seguire la pista della massoneria deviata. All’epoca però la pista fu abbandonata. Secondo Prinicipato, perché le sue indagini furono ostacolate. «Pensai davvero che non lo volessero prendere». E ricorda: "Sia io sia altri colleghi cercammo di convincere il procuratore a fermare i colleghi del gruppo agrigentino che volevano procedere all’arresto di un boss che secondo noi ci avrebbe portato dal ricercato. Avrebbero vanificato tutto. Anche i carabinieri del Ros ci parlarono. Invano".
Nel libro, a proposito della cattura del boss, continua: "In quarant’anni non mi è mai capitato di vedere un inafferrabile e pericoloso latitante catturato con tanta nonchalance".
E poi: "Sono rimasta interdetta dal senso di meraviglia manifestato da molti nello scoprire che il boss, gravemente malato, aveva vissuto da latitante per tre o
quattro anni nel suo territorio, a Campobello di Mazara, traslocando da un bunker all’altro e conducendo una vita pressoché normale, senza essere riconosciuto o denunciato da nessuno".
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