Per il filosofo coreano Byung-Chul Han, la società capitalistica contemporanea è una società della prestazione e noi, come suoi soggetti, siamo diventati "soggetti di prestazione", impegnati costantemente a venderci sul mercato. In questo contesto, soffriamo di una pressione internalizzata per raggiungere il successo - fare di più, essere di più, avere di più.
Cosi, per Han, nel mondo contemporaneo l'lo non è più un soggetto, ma un progetto. È qualcosa da ottimizzare, massimizzare, rendere efficiente, coltivare per la sua capacità di essere produttivo. La preoccupazione è che tutte le attività della vita finiscano così per essere considerate come righe di un curriculum.
Il problema è che, come "soggetti di prestazione", non solo ci esauriamo, ma lo scopo e il valore delle nostre vite non sono mai raggiungibili. Una volta ottenuti il lavoro dei sogni, la casa perfetta, una vita ottimizzata, solo allora penseremo che la nostra vita avrà un senso. Ma così il significato dell'esistenza in sé rimane fuori dalla nostra portata.
Eppure, il vero significato della vita può essere trovato solo in quelle cose che “esistono per se stesse e non hanno altro scopo esterno". ad esempio, il valore della vita può essere trovato solo nel gioco. Quando giochiamo, siamo coinvolti dalla passione e dalla gioia che ritroviamo nell'attività stessa.
Non sono la performance e uno scopo esterno a guidarci. Giochiamo per il semplice fatto di giocare. Abbracciare il gioco è una sfida audace al mantra della produttività. E l'appello alla giocosità non va interpretato come una prescrizione psicologica solo per l'individuo, ma è un invito all'azione collettiva come forma di ribellione contro la società della prestazione.
Di Riccardo Pellegrino