Andrea Bulgarella. Elogio dell'inquietudine
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Andrea Bulgarella è morto. Doveva accadere. Lo sapevamo in tanti. Ma anche questa volta, come spesso accadeva con lui, non ci siamo fatti trovare pronti. Non lo eravamo.
Andrea Bulgarella è morto. Ed è difficile, oggi, trovare le parole giuste. Perché la sua non è solo una storia personale. È una storia che riguarda tutti noi, riguarda Trapani, la Sicilia, questo Paese e la sua coscienza civile.
Andrea Bulgarella è stato un grande imprenditore. Uno di quelli che non si sono limitati a costruire, ma hanno trasformato, recuperato, restituito valore. Hotel, tonnare, colonie marine, strutture lasciate al degrado: Bulgarella le prendeva, le restaurava, le riportava alla vita. In un Paese che spesso abbandona la bellezza, lui la cercava. E ci investiva. Con coraggio. Con ostinazione.
Era anche un uomo del suo tempo. E del suo territorio. La Sicilia, Trapani, la Toscana. In ognuno di questi luoghi ha lasciato un segno. Nel lavoro. E nel calcio, con il Trapani Calcio prima, poi con il Pisa. Senza spocchia, senza arroganza. Un imprenditore visionario, e generoso. Molti dei ragazzi della comunità Mondo X vivono oggi in una struttura donata da lui, perché credeva nella possibilità di riscatto. Anche degli altri.
Ma Andrea Bulgarella è stato soprattutto un uomo che non ha accettato di stare zitto. Non lo ha fatto mai. Era un ribelle, un uomo in perenne rivolta.
È stato indagato nel 2015 per mafia. Un’inchiesta enorme, rumorosa, di quelle che quando escono sui giornali fanno tremare le mani. Accuse infamanti, presunte connessioni con Cosa nostra. Poi, il nulla. Nessun processo. Nessuna condanna. È stata la stessa Procura a chiedere l’archiviazione.
Eppure, da quell'anno, per Andrea Bulgarella è cominciata una condanna senza fine. I conti chiusi. Le banche che non rispondono. Nessun accesso al credito. Niente POS per le sue aziende. Prosciolto dallo Stato, ma punito dalle circostanze, dal contesto, da qualcosa che la sua inquetudine aveva intuito benissimo, un "sistema", come lo chiamava lui, contro il quale ha lottato invano.
Per anni ha cercato di capire. Ha scritto, ha denunciato, ha chiesto udienza. Ha presentato esposti. Ha parlato in Parlamento, ha sostenuto leggi per obbligare le banche a motivare le loro decisioni e a cambiare atteggiamento verso gli imprenditori. Nessuno ha voluto ascoltarlo davvero.
La morte di Andrea Bulgarella ci lascia con una domanda scomoda: cosa significa essere innocenti in Italia?
In molti gli hanno voltato le spalle. Per paura. Per convenienza. Per ignoranza. Ma lui ha continuato a denunciare ciò che vedeva, a raccontare quello che non andava. Un uomo, da solo, contro un muro fatto di sospetti, di mezze frasi, di omissioni.
Andrea Bulgarella era uno che firmava le lettere e i suoi esposti con nome e cognome. Non si è mai nascosto. Non ha mai smesso di credere nella giustizia. Anche quando la giustizia non sembrava credere in lui.
Chi scrive ha avuto la responsabilità di raccontare questa storia, prima ancora che fosse materia di interrogazioni parlamentari, prima ancora che diventasse un "caso di studio" della malagiustizia italiana. Di ascoltare la sua voce, di raccogliere la sua amarezza. E la sua rabbia. Ma anche il suo coraggio.
Oggi che non c’è più, resta il compito di non dimenticare. Perché quella di Andrea Bulgarella è una di quelle storie italiane che ci inchiodano. Una storia che dimostra che in questo Paese puoi essere assolto da un giudice, ma mai dai pregiudizi. Una storia che ci obbliga a chiederci: chi ripaga un uomo a cui è stato tolto tutto senza che nessuno lo abbia mai condannato?
Forse, la sola risposta è il ricordo. La memoria di una vita piena, generosa, scomoda. La memoria di un uomo che ha pagato il prezzo più alto: dire la verità.
Un'ultima cosa. Si dice: chi muore trova pace. Non so se sia il caso di Andrea Bulgarella. Ognuno ha un suo Bulgarella da ricordare, in queste ore. Io ho il mio. E il mio era una persona soprattutto inquieta. Era una specie di vento, Bulgarella. Dovunque andasse, si avvertiva come uno spostamento d'aria, finestre che sbattevano, qualcosa che accadeva. Ecco, Bulgarella era uno che faceva accadere le cose.
Questa inquietudine, che a volte prendeva la forma dell'idea imprenditoriale, altre della rabbia civile, altre ancora della provocazione, della curiosità creativa come dell'indignazione, era il tratto principale del suo carattere. Anzi, era lui.
Chi muore trova pace. Non per lui. La pace non l'ha voluta mai, Andrea Bulgarella. E augurargliela da morto è fargli ancora un ultimo torto. Speriamo che sia vento, adesso. Quel vento improvviso che sale per la campagna, tra le pendici di Erice, quella brezza che in certe giornate di luce chiarissima si arrampica su strade e tornanti, fa dei giri strani, poi ti prende alle spalle, mentre magari, dall'alto, contempli questo mare, e le saline, e tutto. E non riesci, ancora una volta, a farti trovare pronto.
Giacomo Di Girolamo
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