Storie di Fuorisede è la serie di articoli di Tp24 che raccoglie le voci di giovani trapanesi che hanno lasciato la loro terra per studiare o lavorare altrove. Attraverso i loro racconti esploriamo sogni, difficoltà, scelte personali e il legame, spesso resistente, con le proprie radici. Oggi raccontiamo la storia di Alberto Mortillaroi.
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Alberto ha 20 anni, viene da Trapani ed è una persona molto determinata, conosce il sacrificio e sa che per raggiungere i propri obiettivi serve il duro lavoro. Lo ha imparato presto, da piccolo, tra i tatami, praticando judo. Il judo per lui non è stato semplicemente uno sport, ma uno stile di vita. Una passione intrisa di sacrificio e disciplina, interrotta però dallo stress della competizione. Gareggiare ai Campionati Nazionali non era facile per un ragazzino di 14 anni, dopo la prima sconfitta ha detto basta a tutta la pressione e quell’opprimente senso di responsabilità che gravava solo sulle sue spalle.
Quegli anni però non sono stati solo una parentesi per sua crescita. Hanno lasciato una traccia profonda nel suo modo di affrontare la vita e le sfide che incontra nel suo cammino.
Al termine del quarto anno di liceo era incuriosito dalla storia, ma bastò un libro di biologia per capire quale fosse la sua strada: “Mi resi conto che mi affascinava come la vita potesse essere il risultato di un finissimo equilibrio di molecole e processi biochimici”.
All'inizio, però, non era tutto così chiaro. C'era un’inquietudine sotterranea: stava davvero scegliendo per sé o per soddisfare le aspettative dei genitori? “All’inizio mi sono lasciato guidare. Ma non ero sicuro che fosse la mia strada”. Poi ha iniziato a prepararsi per il test d’ingresso. Un periodo lungo, fatto di dedizione e rinunce. E qualcosa ha cominciato a cambiare: “Più studiavo, più mi rendevo conto che mi piaceva. Che questa fatica aveva un senso”.
Oggi è al secondo anno della facoltà di Medicina dell’università di Pavia. Guardandosi indietro si rende conto che gli sforzi hanno dato i loro risultati, anche se il percorso è lungo ed è consapevole di essere solo all’inizio: “Al secondo anno di studi comincio a rendermi conto di cosa comporti questo percorso. E’ lungo e impegnativo e credo che proprio per questo sia fondamentale chiedersi se si ha una vera passione per queste materie”.
Questa prospettiva però non lo spaventa, anzi lo sfida a fare meglio, a trovare un suo metodo: “C’è sempre l’idea dello studente di Medicina disperato, che sta chiuso in casa a studiare tutto il giorno. Ed è vero che si studia tanto. Ma io ho trovato un mio equilibrio: studio sempre, anche poco, ma tutti i giorni. Preferisco diluire piuttosto che ridurre tutto all’ultimo prima degli esami”.
Il sacrificio, però, rimane. “I giorni in cui non faccio nulla sono molto rari. Bisogna avere costanza, non basta la memoria. Devi capire quello che studi, farlo tuo. E poi non ha senso paragonarsi agli altri, ognuno ha il suo ritmo”.
Allora sorge spontanea la domanda se si sia pentito della scelta di studiare medicina: “Assolutamente no, sono affascinato dall’etica del medico, è bellissimo poter aiutare le persone, alleviare il loro dolore, entrare in empatia con il paziente. Il gioco ne vale la candela”.
Su un eventuale ritorno a Trapani confessa che effettivamente non ci aveva mai pensato prima di adesso: “Per uno studente di medicina credo che sia diverso, molto probabilmente rimarrò almeno 11-12 anni lontano da Trapani, e ciò comporta che dopo tutto questo tempo lontano dalla mia città avrò già gettato le basi per la mia vita futura. Mi rendo conto che sarà difficile in prospettiva tornare a Trapani”.
Il suo tono è lucido, ma non freddo. L’idea di non tornare sembra maturare senza forzature. Non è una rinuncia, e nemmeno una fuga: “Per quanto questa cosa possa infastidirmi la ritengo inevitabile. Trapani è dove sono cresciuto, dove ho costruito le basi della mia identità. Ci sono tante cose che mi legano, i miei amici, la scuola, la famiglia, ma prevalentemente il Judo. Mi identifico in quello sport, ci penso costantemente, è una parte della mia vita che mi ha segnato. Però mi rendo anche conto che come ho costruito il mio percorso di crescita a Trapani, ne costruirò un altro in un'altra città”.
Forse crescere significa anche accettare di spostare il baricentro. Accettare che l’idea di casa può cambiare forma. In fondo già da piccolo aveva rinunciato a qualcosa che amava perchè credeva che fosse la scelta più giusta per lui. Oggi ha la consapevolezza di dire che forse la cosa migliore per lui potrebbe essere accettare l’incertezza, accettare che le radici non sempre coincidano con il futuro. Con serenità, autocontrollo e con quel giusto pizzico di malinconia di chi tanto sa che ciò che si ama lo si porta nel cuore.