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24/06/2025 06:00:00

In Sicilia l’emergenza non si risolve, si gestisce. E diventa mestiere

Gentile Direttore di Tp24, 
come sempre rimetto a lei questa analisi, volendo ancora una volta stimolare riflessioni su questioni che, pur urgenti, non vengono mai affrontate con la necessaria risolutezza.

In Sicilia l’emergenza non si risolve, si gestisce. E diventa mestiere.

In Sicilia, l’emergenza è una modalità operativa, un alibi sistemico, una rassegnazione organizzata. Non si affronta per superarla, ma per renderla conveniente. Qui, la gestione dell’eccezione è più redditizia della soluzione del problema. E la siccità, oggi, ne è l’emblema più tragico e grottesco.

Mentre la terra si spacca e i bacini si svuotano, si assiste all’ennesima liturgia istituzionale: conferenze, tavoli tecnici, promesse, commissari straordinari. Intanto, gli agricoltori attendono acqua che non arriva e risposte che non arriveranno mai. Perché il sistema è stato costruito per non funzionare.

I consorzi di bonifica, teoricamente strumenti di gestione partecipata e tutela dell’agricoltura, sono diventati centri di stallo istituzionale. Commissariati da anni — anni! Sono ormai gusci vuoti dove il potere si esercita senza controllo né visione. I commissari, scelti con criteri opachi e logiche spartitorie, non devono rendere conto agli agricoltori, ma solo a chi li ha nominati. Non rappresentano il territorio, lo amministrano dall’alto, in silenzio, nell’ombra, e spesso con l’unico obiettivo di restare lì.

Non alzano la testa, perché sanno che farlo costerebbe loro la poltrona. Meglio non disturbare, non denunciare, non cambiare. Meglio gestire il nulla, amministrare la carenza, distribuire disservizi come fossero inevitabili. Tanto la colpa è sempre della “situazione ereditata”, della “mancanza di fondi”, della “complessità delle norme”. Intanto, però, le bollette agli agricoltori arrivano puntuali, anche per l’acqua che non vedranno mai. 

Si parla di riforma, di far pagare solo l’acqua consumata. Un principio giusto, ma che rischia di restare utopia. Da 11 consorzi si è passati a 2 e adesso con la riforma a 4. Ma la logica è quella dei distretti o quella della moltiplicazione delle poltrone? Dirigenti, vice, commissari, liquidatori: una nuova burocrazia. Una frammentazione organizzata. Una mappa di piccoli potentati.

E mentre si litiga su competenze e poltrone, l’acqua manca davvero. Qualcuno ha avanzato proposte concrete? Qualcuno ha pensato almeno di come sostenere gli agricoltori le cui produzioni vengono perse una volta per la peronospora poi per la siccità e così via di seguito da una catastrofe all’altra. E così anche adesso le produzioni saranno bruciate dal sole. La politica tace o scarica la responsabilità su eventi “straordinari”, come l’acqua che si sversa a mare. Limitazioni strutturali che ne limitano l’invasamento per poi scomparire come magicamente.

Chi lavora la terra è stato estromesso. Non elegge più i propri rappresentanti, non partecipa alle scelte, non ha voce. È stato spinto ai margini da un sistema che premia la fedeltà politica più della competenza, la paralisi più della giustizia.

Ma quanto può durare questa farsa? Quanto può reggere una regione in cui il provvisorio è eterno e l’incompetenza è premiata con la continuità? La verità è che la Sicilia è diventata un laboratorio perfetto di gestione sterile, dove ogni emergenza è un’occasione per distribuire incarichi e rinviare le soluzioni. Dove la desertificazione dei campi è ormai l’inesorabile e desolante panorama.

In Sicilia, l’emergenza non si risolve. Si gestisce. Si commissaria. Si silenzia.
Resterà solo la polvere.

 

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