Il far west dei parcheggi: multe, favori e un sistema di potere ai piedi di Segesta
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Corruzione, abusi, parenti assunti e multe a raffica per spingere i turisti a pagare. È lo scandalo del parcheggio a pagamento del Parco archeologico di Segesta, finito a processo dopo l’indagine “Phimes” e chiuso nei giorni scorsi con una sentenza pesante: cinque condanne e tre assoluzioni. Al centro della vicenda l’imprenditore Francesco Isca, condannato a sei anni di carcere, indicato dagli inquirenti come regista occulto del meccanismo che ha alterato la gestione dei parcheggi nei pressi del sito archeologico.
Il processo, celebrato al Tribunale di Trapani, ha ricostruito una rete di relazioni e favori che per anni avrebbe condizionato il flusso turistico verso una sola area di sosta privata, trasformando un servizio pubblico in un affare a vantaggio di pochi.
Le condanne: sei anni a Isca e all’ex vicecomandante dei vigili
La presidente del Tribunale, Daniela Troja, ha letto la sentenza del processo “Phimes” pronunciando cinque condanne:
- Francesco Isca, imprenditore di Calatafimi, condannato a sei anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
- - Stessa condanna per Salvatore Craparotta, ex vice comandante della Polizia Municipale di Calatafimi Segesta.
- - Otto mesi di reclusione con pena sospesa per l’ex sindaco Vito Sciortino, e per i vigili urbani Leonardo e Vito Accardo.
- Tre le assoluzioni, perché “il fatto non sussiste”: si tratta dell’ex comandante della Polizia Municipale Giorgio Collura, di Giuseppe Ferrara e Maria Giusy Craparotta, soci della società “Archeodromo”.
Il Tribunale ha inoltre disposto il dissequestro della Segesta Green Tour srl, società che gestiva il parcheggio a pagamento, ordinando la restituzione ai legittimi proprietari.
I condannati Isca, Craparotta e Sciortino dovranno risarcire con 3.000 euro la Società Geografica Siciliana, parte civile del processo rappresentata dall’avvocato Carmelo Lo Bello, e versare 1.600 euro di spese legali.
Le pene sono risultate più lievi rispetto a quelle richieste dalla pubblica accusa, rappresentata dalla pm Sara Morri, che aveva sollecitato fino a otto anni e sei mesi per i principali imputati.

Il far west dei parcheggi: multe e parenti assunti, secondo la Procura
L’indagine è nata nel 2020, dopo la chiusura del parcheggio gratuito vicino all’ingresso del sito archeologico. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, i turisti venivano indirizzati forzatamente verso un’unica area privata a pagamento, situata più lontano.
Secondo la Procura, Salvatore Craparotta, allora vicecomandante della Polizia Municipale, elevava multe a raffica a chi parcheggiava in strada o in altri spazi, su segnalazione di Francesco Isca. In cambio, diversi familiari del vigile – tra cui moglie, figlie e genero – risultavano assunti nelle aziende legate all’imprenditore. La figlia, in particolare, era socia al 50% della Segesta Green Tour srl.
A sostenere il sistema – sempre secondo le accuse – c’erano anche volantini falsi con il logo dell’Ente Parco (mai autorizzati), che dichiaravano l’area gestita da Isca come l’unico parcheggio ufficiale.
L’ex sindaco Vito Sciortino, condannato a otto mesi con pena sospesa, era accusato di aver favorito tale gestione con un atto non protocollato e privo di validità formale, volto a vietare il parcheggio all’interno dell’area archeologica. La competenza su quell’area, va ricordato, era della Regione e non del Comune.
A segnalare le prime anomalie fu la Società Geografica Siciliana, guidata da Massimo Mirabella, impegnata nella tutela dei beni culturali. “Durante una visita al tempio con studiosi tedeschi – racconta il presidente Massimo Mirabella – siamo stati allontanati da un uomo in borghese che ci ha impedito di accedere al parcheggio gratuito, obbligandoci a utilizzare quello privato di Isca. Da lì è partita la nostra segnalazione.”

Chi è Francesco Isca
Francesco Isca, imprenditore edile originario di Vita, è finito al centro di numerose indagini non solo per il caso Segesta. Nel 2023, su proposta della Direzione Investigativa Antimafia, il Tribunale di Trapani ha disposto la confisca di beni per 12 milioni di euro a suo carico.
Secondo la DIA, Isca avrebbe costruito un impero economico – tra società di calcestruzzo, edilizia, energia e gestione parcheggi – con il sostegno di esponenti mafiosi delle famiglie di Calatafimi, Vita e Salemi.
A Isca è stata inoltre applicata la sorveglianza speciale per 3 anni e 6 mesi.
Secondo la DIA, le indagini hanno accertato la pericolosità sociale dell’imprenditore, che avrebbe beneficiato del sostegno e della "copertura" del capo della famiglia mafiosa del territorio. Questo gli avrebbe permesso di ottenere le risorse necessarie per avviare e alimentare le sue attività imprenditoriali, imponendosi in mercati strategici come quello delle grandi opere pubbliche, danneggiando le imprese concorrenti e alterando le regole del libero mercato.
Nel provvedimento si fa anche riferimento alla partecipazione diretta di Isca a numerosi episodi estorsivi nei confronti di altri imprenditori, concorrenti sgraditi, a cui veniva impedito di operare sul territorio.
Il suo nome è emerso anche in altre inchieste. in particolare per rapporti d'affari con Vito Nicastri, noto come il “re dell’eolico”.
Secondo i collaboratori di giustizia, Isca sarebbe stato un imprenditore “di riferimento” per le famiglie mafiose locali, al punto da ottenere il monopolio della fornitura di calcestruzzo nella provincia di Trapani. Il pentito Nicolò Nicolosi lo ha descritto come finanziato dalle cosche, ricambiando il sostegno attraverso assunzioni e sostegni economici a familiari di uomini di Cosa nostra.
Un personaggio con molte ombre, Isca, che secondo quanto emerso aveva resto l’area di Segesta un far west, in cui lo sceriffo era lui.
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