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22/07/2025 06:00:00

Dai cannoli di Cuffaro al cappellino di Galvagno: ecco la vera Sicilia del Gattopardo

Che poi, a pensarci bene, le fotografie servono esattamente a questo: a fissare il presente, a congelare l’anima di un’epoca in uno scatto. Un fermo immagine che, a distanza di anni, racconta più di mille editoriali.

Se dico “cannoli”, ad esempio, ognuno di noi ha già stampata nella mente quella foto. Sì, quella foto. Totò Cuffaro, allora presidente della Regione Siciliana, immortalato con una guantiera traboccante di cannoli tra le mani. Era il giorno dopo la sentenza: cinque anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Una condanna più lieve di quanto temesse, e dunque — perché no? — meritava di essere festeggiata. Con i cannoli. In conferenza stampa. Con i giornalisti. A Palazzo.

Era un sabato mattina del Gennaio del 2008, e quell'immagine — il governatore imputato, condannato e festoso, interdetto dai pubblici uffici e goloso — fece il giro del mondo. La Sicilia del paradosso, dell’impunità, del dolce che addolcisce anche il reato. La Sicilia che si racconta meglio in una foto che in mille atti giudiziari.

E fu quella foto a segnare la fine politica di quel primo Cuffaro, più ancora della sentenza. All’epoca i social non dominavano ancora la scena, ma la rabbia vera, quella che si mordeva tra le strade e le piazze, bastò. Ne nacque un moto di indignazione che, almeno per un istante, sembrò dire: non tutto può essere addomesticato con la ricotta.

 

Oggi un’altra fotografia fissa il presente. Ma non fa più lo stesso effetto. Viviamo in tempi di sovraesposizione, iper-riproduzione, saturazione visiva. Un bambino che muore di fame? Una volta ci avrebbe spezzato il fiato. Oggi è solo una delle decine di immagini che ci scorrono addosso, scrolliamo via tutto, in attesa della prossima. E della prossima ancora.

 

Ma anche la foto di cui parlo,  scattata al matrimonio del figlio di Totò Cuffaro, è un simbolo dei nostri tempi. Perché, a differenza del passato, non serve più un fotografo a cercare lo scatto perfetto: i soggetti fanno tutto da soli. Il selfie è servito.

 

E così Gaetano Galvagno, giovane presidente dell'Ars, esponente di Fratelli d'Italia, si è fatto immortalare con un sorriso durbans' e un cappellino alla rovescia stile jovanotti prima maniera al matrimonio più atteso dell'anno, quello del figlio di Totò Cuffaro. Peccato che fosse il 19 Luglio, quel matrimonio, e Galvagno ha preferito la festa del matrimonio alla sua partecipazione alla cerimonia per ricordare Paolo Borsellino e le vittime della strage mafiosa di via d'Amelio.

 

Ora, si dirà: magari ci sarebbe stato imbarazzo. Qualche fischio, forse. Il presidente dell’Ars, infatti, è attualmente indagato per corruzione dalla Procura di Palermo. È ancora tutto da chiarire, certo. Ma intanto emergono già, dalle carte, storie di fondi spartiti tra amici, incarichi distribuiti come caramelle, parenti di collaboratori sistemati a carico del bilancio pubblico. E allora, Presidente, con tutto il rispetto: cosa c’era da ridere?

Non si poteva evitare tutto questo? Evitare la foto, il cappellino, il post? Come si potevano evitare, con un briciolo di buon gusto, i cannoli di Cuffaro. E invece, a peggiorare la presa in giro, nelle stesse ore in cui brindava e si faceva ritrarre sbracato in mezzo ai tavoli, il profilo ufficiale del presidente dell’Ars pubblicava un post con toni solenni per ricordare Borsellino. Retorica preconfezionata, mentre altrove si celebrava un altro rito: quello della rimozione.

 

Ora, sia chiaro: nulla di male nell’andare a un matrimonio. E ci mancherebbe pure. Ma inviare un bel regalo, in questo preciso momento storico, non sarebbe stata una scelta più sobria, più degna? Invece no: serviva la presenza, serviva la foto. Ma era davvero il caso? 

 

 

Alla fine, la vera condanna di questa terra — al di là delle sentenze gattopardesche del “cambiare tutto perché nulla cambi” — è quella di essere prigionieri del cuffarismo. Che non è solo una stagione politica, ma una mentalità, una forma mentis, un codice di comportamento. Un modo di essere, di gestire il potere, di presentarsi al mondo. Un’epoca che non finisce mai.

E non importa nemmeno più cosa pensi Cuffaro in persona. Perché anche senza volerlo, lui è sempre lì. Suoi erano i cannoli nel 2008, simbolo dolce e amaro dell’impunità. Ed è stato lui, pochi giorni fa, a organizzare il matrimonio del figlio — proprio il 19 luglio, data di lutto civile per tanti siciliani.

E allora, in tutta questa ipocrisia che ci tocca sorbirci ogni anno in occasione delle commemorazioni ufficiali, alla fine, paradossalmente, Totò Cuffaro è il più coerente di tutti. Ha fatto la festa nel giorno del ricordo. Alla luce del sole. Senza nascondersi. Altro che rimozione, altro che post istituzionali stiracchiati, altro che indignazione di facciata.

Qui la vera tragedia è che si è smesso persino di vergognarsi.

 

Giacomo Di Girolamo 



Editoriali | 2025-12-04 06:00:00
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