Un accordo c’è stato, ma per la Sicilia non è certo un motivo per festeggiare. L’intesa tra l’amministrazione statunitense e l’Unione europea ha evitato l’imposizione di dazi al 30%, ma quelli al 15% sono comunque un colpo pesante per l’economia dell’Isola. Secondo le stime della Svimez, il danno atteso per l’export siciliano è di circa il 5%, pari a una perdita di 70 milioni di euro e a un rischio occupazionale per almeno 700 addetti.
Il vino sotto attacco, ma non solo
I numeri di Bankitalia parlano chiaro: l’export siciliano verso gli Stati Uniti sfiora il miliardo di euro, con petrolio e derivati in testa (335 milioni), seguiti da apparecchiature elettriche (331 milioni). Ma è l’agroalimentare a rischiare di più: 180 milioni l’intero settore, 46 solo per il vino. E proprio il settore vitivinicolo è il più esposto: dazi e svalutazione del dollaro insieme rischiano di far salire i prezzi fino al 25%, con un calo dei consumi difficile da evitare.
Alcune aziende, però, si sono già mosse e hanno trasferito parte della produzione negli Stati Uniti.
Sicindustria: “Un compromesso, ma servono alternative”
Per Luigi Rizzolo, presidente di Sicindustria, “non è l’accordo che speravamo, ma evita il peggio. Il danno sarà concreto, specie in settori chiave come agroalimentare, meccanica, moda e farmaceutica”. La federazione degli industriali siciliani punta ora a rafforzare l’internazionalizzazione verso mercati alternativi: Nord Africa, Medio Oriente, America Latina e Asia.
In sintesi: i dazi non sono più una minaccia, ma una realtà con cui fare i conti. E la Sicilia, ancora una volta, paga il prezzo più alto.