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03/08/2025 06:00:00

Come ogni estate, la Sicilia ostaggio delle fiamme

Venerdì 25 luglio, anfiteatro del parco archeologico di Segesta. Prende il via la nuova stagione degli spettacoli estivi. Si esibisce Eugenio Finardi, che celebra mezzo secolo di attività. Possono sembrare tanti, sono nulla rispetto agli oltre duemila anni di storia del luogo magico che ospita lo spettacolo, sotto il tempio, e con il teatro che domina la valle e la costa della Sicilia nord occidentale.

Finardi canta, ma il clima è surreale. Alle sue spalle, infatti, si vedono strisce di fuoco alzarsi tra le colline: la provincia di Trapani vive una delle sue notti più lunghe. La Riserva di Monte Cofano, lo Zingaro, San Vito Lo Capo bruciano. Lo faranno tutta la notte e per due giorni. È accaduto di nuovo: ancora una volta la Sicilia è stata devastata dagli incendi.

Le fiamme sono ormai domate, ma le polemiche continuano ad alimentarsi. In Sicilia e soprattutto nel Trapanese, gli incendi del fine settimana scorso hanno lasciato dietro di sé una scia di devastazione, indignazione e domande inevase. In tre giorni, ben trecentottanta roghi hanno bruciato quasi diciassettemila ettari. Intere famiglie sono state evacuate, anche nel Palermitano e nel Nisseno, con il sindaco di Castellammare del Golfo, Giuseppe Fausto, che parla di «ferite profonde e incalcolabili danni ambientali ed economici».

Per combattere i roghi, sono scesi in campo migliaia di uomini: centinaia di mezzi a terra e migliaia di uomini tra operai antincendio, vigili del fuoco e volontari. Il Corpo forestale ha impiegato dieci elicotteri, i Vigili del Fuoco un S64 e due velivoli della flotta nazionale, oltre a due Canadair e un aereo giunto dalla Calabria. Il presidente della Regione, Renato Schifani, difende l’azione del suo governo, definendo l’intervento antincendio «lodevole e coraggioso».

Ma c’è qualcosa che non torna, in questa narrazione. Perché, nonostante gli sforzi della Regione, si vive una sorta di déjà vu: l’incendio ha perso la sua connotazione di evento eccezionale, diventando un fatto di ordinaria normalità. In una giornata di scirocco e alte temperature, i siciliani sanno già che quello che sentono sulle loro teste è il rombo dei Canadair.

Ecco perché il mondo delle associazioni interviene duramente. Coldiretti Sicilia, Cna, Legambiente e Codacons chiedono un cambio di passo. «Servono posti fissi di controllo nelle aree sensibili e un protocollo di emergenza regionale che coinvolga tutti gli attori», dicono Coldiretti e Cna. «Gli incendi sono un doppio attacco: distruggono la natura e mettono in ginocchio agricoltura e turismo».

Legambiente chiede pene esemplari per i responsabili, più forze dell’ordine, più personale per lo spegnimento, e strumenti tecnologici all’avanguardia. Secondo il report “L’Italia in fumo”, la Sicilia è già al primo posto in Italia per ettari bruciati nel 2025: un triste primato che rischia di diventare normalità.

Ogni anno, lo stesso dramma. Ogni anno, gli stessi appelli. E ogni estate, la Sicilia si scopre vulnerabile, abbandonata a se stessa davanti al fuoco. Le immagini dei roghi nel Trapanese, delle famiglie evacuate, delle colline carbonizzate, sembrano ormai parte di un rituale ciclico. Ma dietro quelle immagini ci sono vite sconvolte, ecosistemi cancellati, lavoro perduto. E una domanda che torna: cosa si farà davvero, stavolta, per cambiare?

Per Coldiretti Sicilia e Cna «bisogna subito incrementare i controlli con posti fissi di tutela del territorio soprattutto nelle zone sensibili». Legambiente, invece, sottolinea la «necessità di applicare in pieno le norme esistenti e di introdurre nuovi e più radicali strumenti».

Il Wwf Sicilia, enfatizza l’importanza cruciale dell’«azione preventiva in tutte le sue forme». Questo significa non solo pulizia del territorio e fasce parafuoco, ma soprattutto «predisporre un costante, organico, strutturato sistema di intelligence che operi in fase preventiva, preveda e prevenga le intenzioni criminali».

A riprova di come gli incendi in Sicilia siano un dramma annunciato, il Wwf Sicilia aveva già nel novembre 2023 pubblicato un dettagliato dossier, che evidenzia come la Sicilia sia ultima per copertura forestale, ma tristemente prima per le superfici coperte dal fuoco.

Il Wwf, basandosi su indagini del Corpo Forestale dello Stato, sottolinea che la prevalenza degli incendi ha una componente dolosa (settantotto per cento), a cui si aggiunge un venti per cento di cause “dubbie”, spesso riconducibili alla stessa matrice criminale. E poi ci sono gli incendi “dimostrativi”, come quelli che hanno colpito la provincia di Trapani. Roghi dolosi di notevole portata, appiccati contemporaneamente in diverse aree nelle ore serali, con vento di scirocco e alte temperature, sintomo di una «perfetta conoscenza dei luoghi e una organizzazione capillare da parte di professionisti». La finalità è chiara: nelle ore serali i Canadair non possono operare, e il forte vento diffonde rapidamente le fiamme, rendendole inarrestabili e devastanti.

Di un paio di anni prima, del 2022, è una relazione della Commissione antimafia dell’Ars, il parlamento siciliano. Anche in quel caso, è tutto già scritto. Spesso, racconta un dirigente regionale, gli inneschi vengono accesi per svalutare terreni appetibili a speculatori edilizi, o per costringere i proprietari a venderli. Oppure, per accaparrarsi i pascoli. Ogni anno, il Dipartimento per lo Sviluppo rurale pubblica manifestazioni di interesse per lotti di terreno da adibire a pascolo. Gli allevatori concorrono per aggiudicarsi questi lotti, che, una volta caricati nel fascicolo aziendale, permettono di ricevere ingenti contributi comunitari. Questo genera una forte competizione che, talvolta, degenera negli incendi.

Per scoraggiare questi meccanismi, nel 2000 è stata introdotta una legge che impone divieti specifici sui terreni percorsi dal fuoco per cinque o dieci anni: divieto di cambio di destinazione d’uso, di pascolo, di caccia, di raccolta dei prodotti del sottobosco, di realizzazione di edifici o infrastrutture, e ovviamente, divieto di compravendita. Tutto questo con un obiettivo chiaro: annullare i benefici che i criminali potrebbero trarre dal bruciare determinate aree. Per garantire l’applicazione di questi vincoli, la stessa legge prevedeva l’istituzione del catasto degli incendi. Ogni area bruciata deve essere censita tramite il numero di particella catastale, e questi dati, una volta caricati nei sistemi comunali, attivano automaticamente i divieti. Se un’area bruciata non è nel catasto, i divieti semplicemente non esistono.

Il problema è che in Sicilia solo la metà dei comuni utilizza questo strumento. E molte aree bruciate spariscono misteriosamente dall’elenco, o non vengono segnalate come zone di roghi. A Castellammare del Golfo, ad esempio, oggi tra le aree turisticamente più in crescita della Sicilia, il catasto incendi è stato adottato solo dal 2021 e ad anni alterni. I terreni bruciati negli anni precedenti non sono mai stati inseriti nell’elenco dei suoli da vincolare, permettendo nuove costruzioni.

E così ogni anno, la Sicilia si scopre ostaggio delle fiamme, incapace di imparare dalla propria storia, o forse, più cinicamente, non interessata a farlo. Le immagini di Segesta in fiamme, con le note di Finardi che si esibisce con i roghi sullo sfondo, sono un simbolo potente e desolante di una bellezza che brucia mentre la politica resta immobile, intrappolata tra burocrazia, interessi economici e un’emergenza che, per qualcuno, è normalità.