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04/08/2025 15:00:00

"Nel nome di Dante: emozione, intelletto e meraviglia al calar del sole"

Gentile direttore, il 29 luglio, alle ore 19, alle Saline Genna, ‘A Scurata, Cunti e Canti al calar del sole, è andata in scena, il primo spettacolo della stagione 2025, “ITINERDANTE siamo inferno”. L’attore e regista, accompagnato dalla musica originale del bravo DJ Angelo Marrone, si chiama Eugenio Di Fraia. Io e mia moglie abbiamo deciso di andare e siamo rimasti abbastanza soddisfatti, nonostante soffiasse un implacabile e pernicioso vento freddo di Maestrale, che imponeva una notevole dose di resistenza. Un inconveniente non secondario visto e considerato che anche il paesaggio era una componente significativa dello spettacolo. Ho subito pensato che in qualsiasi luogo in cui si recita, si legge e si parla di Dante, quel luogo diventa magico, con tutto quello che comporta questo termine abusato, vago e a un tempo pregnante. 

 

Mi sono venuti in mente, nel dipanarsi dirompente e trascinante della performance, Vittorio Sermonti che dalle 17 alle 19 di ogni giorno, per l’intero mese di giugno, dal 2000 al 2002, leggeva e spiegava un canto della Divina Commedia all’interno del Pantheon di Roma, gremito di ascoltatori, muniti di ventaglio per il caldo insopportabile di alcuni pomeriggi infuocati della capitale. Fra questi ascoltatori, un maturo capellone, già noto al pubblico che, senza farsi notare, prendeva appunti - come uno scolaretto - che poi abbiamo visto in televisione recitare in prima serata per due ininterrotte ore, a memoria, la Divina Commedia: costui era Roberto Benigni. Altro luogo, la Casa di Dante, da cui sono passati i più illustri dantisti d’Italia e del mondo, che ci parlavano della Divina Commedia. Ricordo il cardinale Gianfranco Ravasi, divenutone successivamente presidente, che si era confrontato con Giuliano Amato con cui, pur partendo da punti di vista differenti e utilizzando le medesime armi della retorica, della dialettica e dell’eloquenza, avevano dato il meglio della loro sapienza e della loro intelligenza. Entrambi, ciascuno con la propria forza di persuasione, cercavano, e spesso riuscivano, a farci apparire i versi sublimi di Dante, ancora più stupefacenti. L’uno con la parola, come evento archetipo cosmico, l’altro con la parola della civiltà, come il segno massimo di un retto pensiero, conforme alla legge e alla giustizia. Quasi tutti i grandi artisti, lungo i sette secoli che lo separano dalla morte del Poeta, che ha visto profondi cambiamenti epocali di ogni genere, e così fino ai nostri giorni provarono, provano e proveranno a rendere la sua opera oltre che immortale, generatrice di meraviglia e di invenzione. 

 

Di nuova creazione e di spontanea immaginazione. Per tutti segnalo la Pietà di Michelangelo, ispirata alle prime terzine del trentatreesimo canto del Paradiso. Come lui, i poeti, gli scrittori, gli scienziati, di ogni branca e disciplina. Matematici e astronomi, religiosi e laici, celebri e meno celebri. Accanto ai quali umili uomini e donne che hanno avvertito il bisogno di imparare a memoria alcuni versi della Divina Commedia per farli ascoltare ad altri e con cui condividere un’idea del mondo visto da Dante Alighieri. Traendone sempre, in qualche modo e in qualche misura, giovamento e letizia. Poi, la sterminata compagine degli “operatori”, fatta di insegnanti, di attori e di registi, di maestri e di allievi, che spinti da vocazione o da necessità, non hanno smesso mai di osare, di esplorare, di penetrare nelle viscere di quell’immensa e inesauribile miniera da cui cavare, anche dal “come è duro calle lo scendere e ‘l salire l’altrui scale”, una lezione di vita capace di trasmettere emozioni e pensieri veri e profondi. Ci sono momenti della nostra esistenza in cui prevale il dannato bisogno di sperimentare e di affrontare “qualsiasi selva” pur di ritrovare la via giusta, “la dritta via”, per uscirne fuori sano e salvo. In questa sintetica e approssimata rassegna, in larga parte stimolata dalla impetuosa e inappuntabile recitazione, che si distingue nettamente da quelle seriose ma altrettanto coinvolgenti di Vittorio Gassman, Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi, Salvo Randone - solo per rammentare i maggiori interpreti - se dovessi dare una valutazione di merito, collocherei il performer di Strada Eugenio Di Fraia, all’interno del Pantheon dei personaggi citati.

 

 La prima impressione che ho avuto di lui, che sembra esulare dal tema di cui ci occupiamo, è la forte somiglianza con Damiano David dei Maneskin – leader del gruppo musicale pop rock italiano che, fin dagli esordi del 2016, ha mietuto e continua a mietere, anche a livello mondiale, un successo dopo l’altro. Ho trovato molto simile il volto, il corpo, le movenze, i ritmi, la padronanza e la gestione degli spazi, la travolgente musicalità impressa a ogni passaggio scandito con insospettato e inaspettato vigore, la sua inedita e per certi aspetti irrepetibile interpretazione della Divina Commedia: dal pathos tragico (Conte Ugolino, Piero delle Vigne, Ulisse) a momenti di autentica comicità, fino al rapimento mistico del Paradiso che sovrasta la forza immaginativa, e che il Poeta non può descrivere. Mi spingerei a dire, se mi è permesso, che nella stessa “postura della voce” ho riscontrato evidenti affinità fra i due protagonisti, che in ultima analisi rappresenta il timbro della loro autentica contemporaneità, destinata a durare nel tempo. Non aggiungo altro, sebbene sono tante le suggestioni che meriterebbero un’appropriata descrizione. Concludo dicendo che da quella serata ho tratto la seguente lezione: quella che riesce a insegnare il controllo delle emozioni con l’intelletto e al tempo stesso sa muovere l’intelletto con le emozioni. 

 

Filippo Piccione