Giorgio Mulè è il vice presidente della Camera dei Deputati, non fa il politico di professione, è un giornalista. Promotore della proposta di legge, poi diventata legge, che istituiva la "Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di Coronavirus”, che ricorre il 18 marzo di ogni anno.
Fu Silvio Berlusconi a volerlo in campo nel 2018, eletto nel collegio di Sanremo e poi nel 2022 in quello di Palermo.
Non è detto che punti ad essere il candidato della Regione Siciliana, è una opzione come tante altre messe sul tavolo dalla coalizione. Fa più rumore delle altre perché si pone in contrapposizione a Renato Schifani.
Gli azzurri sono attraversati da diverse correnti, i malumori maggiori riguardano gli assessorati che il governatore ha affidato a tecnici spacciati per forzisti: Alessandro Dagnino al Bilancio, Daniela Faraoni alla Sanità.
Equilibri che necessitano di limatura, una coalizione regionale che scricchiola, il partito di Raffaele Lombardo che chiede spazio.
In queste spaccature si crea lo spazio politico, poi si vedrà se sarà anche elettorale e di coalizione, per altre proposte di candidature. Già nel 2022, ha ricordato Mulè, il presidente Berlusconi lo voleva alla guida della Sicilia, un problema di non residenza sull’Isola ha bloccato la corsa.
E poi c’è il problema del partito, Mulè ha chiesto diversi incontri ma non ci sono mai stati: “Va creata la segreteria. Nell’Isola Forza Italia è apolide, non c’è neppure una sede”.
Sono solo schermaglie di partito o c’è un nuovo equilibrio che si sta assestando?
La figura del commissario regionale Marcello Caruso è messa in discussione, considerato l’alter ego di Schifani, il prossimo congresso sarà un terreno di scontro tra chi ha anche una sola tessera in più. E a votare protrano essere solo i tesserati già da 2 anni.
Miccichè, il forzista emigrato
Sono in tanti dentro al partito a volerne il rientro, lo stesso Schifani lo caldeggerebbe. La sua figura per quanto ingombrante è una colonna portante del partito, conosce cose e persone, sa come costruire consenso sui territori. Non sarà la stessa cosa in Grande Sicilia, il movimento fondato da Micchichè, Roberto Lagalla, Raffaele Lombardo. Trovare e formare classe dirigente è difficile, ramificarla in ogni provincia la stessa cosa. Il banco di prova sarà proprio l’appuntamento alle regionali. Facile fare una lista a Palermo, a Catania e poi? Il 5% non è roba da nulla.
La politica senza ricambio generazionale
I nomi sono sempre gli stessi, gira che ti rigira non c’è un professionista giovane che emerge, che decide di scendere in campo, in verità non c’è nemmeno lo spazio di agibilità. I partiti puntano spesso su persone che garantiscono margini di accordi e manovre politiche, le menti troppo libere fanno fatica a trovare espressione. I volti giovani già consolidati in un consenso importante ci sono: Edy Tamajo(FI), Luca Sammartino per la Lega. E ancora una volta non si parla di nessun nome di donna alla guida della Regione, tirate in ballo solo per mescolare le carte e non per essere carta vincente.
2027, poche certezze
I nomi ad oggi fuori sono quelli di Fratelli d’Italia, il partito ha diverse situazioni interne da risolvere, faide e correnti, tanto da ricorrere al commissario Luca Sbardella. Gaetano Galvagno era uomo di punta, volto giovane di una colazione altre che di un partito. Ma ad oggi c’è una indagine in corso per corruzione e peculato, a settembre al netto dei risvolti giudiziari c’è una questione che è tutta politica: fatta di leggerezza, di incapacità a capire il ruolo istituzionale, di affidamenti di incarichi a soubrette e pr più che a portavoce nel senso stretto del lavoro. In politica le cose cambiano velocemente, tutto può succedere.