Il provvedimento del governo italiano, attraverso il Ministero dell'Interno, inflitto a Mediterranea Savings Humans, è uno dei più pesanti inflitti negli ultimi tre anni. Il Prefetto di Trapani, Daniela Lupo, per conto del Viminale, ha notificato al comandante e all'armatore della nave un fermo amministrativo di 60 giorni e una multa di 10.000 euro.
La motivazione ufficiale è la "grave, premeditata e reiterata" disobbedienza all'ordine di raggiungere il porto di Genova, distante oltre 600 migie nautiche, dopo aver soccorso 10 migranti al largo delle coste libiche. La Ong ha invece scelto di sbarcare le persone nel porto più vicino e sicuro, Trapani, per garantire loro immediate cure mediche e psicologiche.
La difesa della Ong: "Abbiamo agito secondo il diritto internazionale"
Mediterranea Savings Humans ha annunciato un ricorso d'urgenza all'autorità giudiziaria competente per far annullare quello che definisce un provvedimento "vendicativo, abnorme e illegittimo sotto ogni punto di vista". La Ong sostiene di aver agito in piena conformità con il diritto marittimo, nazionale e internazionale, prioritizzando la salvaguardia della vita umana. I 10 naufraghi soccorsi – tra cui tre minori non accompagnati – erano stati gettati in mare con violenza da una milizia libica a bordo di una run away boat e versavano in condizioni di salute precarie, dopo aver subito torture e detenzione in Libia. Secondo Mediterranea, obbedire all'ordine di proseguire per Genova avrebbe significato sottoporli a ulteriori giorni di navigazione, aggravando il loro trauma.
Il fermo di altre Ong e la strategia del governo
Quello contro Mediterranea non è un caso isolato. In una rapida sequenza tra il 25 e il 26 agosto, il ministro dell'Interno Piantedosi ha disposto il fermo amministrativo anche di altre due navi di soccorso:
Ocean Viking: fermata dopo essere stata mitragliata dalle milizie libiche, per aver sbarcato i naufraghi a Trapani invece che a Marina di Carrara.
Louise Michel: sequestrata a Lampedusa per non aver informato preventivamente della propria operazione di salvataggio la Guardia costiera libica.
La strategia del governo si basa sul Decreto Legge Piantedosi (c.d. "Decreto Bianchisti"), che impone alle navi Ong di:
Raggiungere senza ritardo il Porto Sicuro (POS) assegnato dal Viminale, spesso identificato in porti del Centro-Nord molto distanti dalla zona di salvataggio.
Non effettuare ulteriori salvataggi senza autorizzazione esplicita.
Raccogliere le domande di protezione internazionale dei migranti.
Il governo sostiene che questa normativa sia necessaria per contrastare i trafficanti e coordinare i soccorsi, arginando il cosiddetto "effetto richiamo" (pull factor) delle navi Ong.
Le critiche della politica: "Disumanità e crudeltà"
L'opposizione ha condannato fermamente i provvedimenti. Riccardo Magi (Europa) ha definito il fermo di Mediterranea un segnale della "disumanità e crudeltà di un governo" che blocca chi salva vite mentre rimpatria in Libia sospetti torturatori. Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) ha parlato di "logica disumana" che punisce chi opera per salvare le persone in mare.
Il contrasto tra decreto Piantedosi e il diritto internazionale
La legittimità costituzionale di questi fermi amministrativi è altamente discutibile. Le misure sarebbero in contrasto con: L'articolo 10 e 117 della Costituzione italiana, che impongono il rispetto degli obblighi internazionali. La Convenzione SAR (Search and Rescue), ratificata con legge n. 147/1989, che all'paragrafo 3.1.9 stabilisce l'obbligo di sbarcare i naufraghi in un "luogo sicuro nel più breve tempo ragionevolmente possibile" (as soon as reasonably practicable).
La Corte costituzionale (sentenza n. 105/2023) e il Consiglio di Stato (sentenza 1615/2025) hanno recentemente ribadito che l'individuazione del porto sicuro non può essere totalmente discrezionale. Il Ministero deve considerare una molteplicità di fattori legati al caso concreto, tra cui: lo status e le condizioni di salute dei naufraghi.
Costringere navi e naufraghi a viaggi prolungati senza una giustificazione fondata su questi parametri viene considerato eticamente intollerabile e potenzialmente illegittimo.
Laura Marmorale, presidente di Mediterranea
"Esprimiamo la nostra vicinanza all'equipaggio di Mediterranea Saving Humans per il provvedimento punitivo notificato ieri dal Governo italiano per mezzo della Prefettura di Trapani. Un pesante intervento dello Stato che si traduce in diecimila euro di multa e nel fermo amministrativo di 60 giorni per la nuova nave Mediterranea, "colpevole" di aver detto di no all'ordine del Ministero dell'Interno di far sbarcare dieci migranti salvati al largo di Lampedusa nel lontano porto di Genova. Un provvedimento che ha richiamato naturalmente la disobbedienza civile di fronte ad un ordine incomprensibile per chi pratica le regole del mare e agisce nel buon senso. La nave SAR battente bandiera italiana quindi resterà ferma al porto di Trapani per quasi due mesi. Per Mediterranea e per tutte le organizzazioni che presidiano costantemente il nostro mare al fine di evitare ulteriori stragi di esseri umani il nostro sostegno più sincero".
Scontro tra sicurezza e diritti umani
Il caso Mediterranea cristallizza lo scontro frontale tra la visione del governo, che punta a un controllo ferreo dei flussi migratori e a discouragere le partenze, e quella delle organizzazioni umanitarie e della società civile, che rivendicano il primato del salvataggio in mare e del rispetto della dignità umana.
Mentre le navi vengono allontanate dalle zone di pericolo o bloccate nei porti, i naufragi continuano. Nelle stesse ore in cui veniva notificato il fermo a Mediterranea, altre operazioni di soccorso registravano due morti: un corpo senza vita recuperato su un barcone e un uomo disperso in mare dopo essere caduto durante la traversata.
La questione è destinata a approdare presto davanti a un giudice nazionale o sovranazionale, che dovrà decidere se le catene che immobilizzano le navi soccorritrici siano uno strumento legittimo di politica migratoria o una violazione aberrante del diritto del mare e dei diritti fondamentali della persona.