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19/09/2025 10:14:00

Il figlio di Totò Riina applaudito in un podcast siciliano

Altro che “libero pensiero”. Nell’ultima puntata di Lo Sperone Podcast è andata in scena una normalizzazione pericolosa: Giuseppe Salvatore Riina, detto “Salvuccio”, figlio del capo dei capi di Cosa nostra, ha avuto un palcoscenico per rilanciare la propaganda di sempre. E i conduttori lo hanno persino applaudito.

Non un contraddittorio, non un obiezione, non un fatto ricordato per ristabilire la verità storica. Ma uno spazio confezionato per legittimare il figlio di Totò Riina, condannato per mafia, che torna a Corleone e si presenta come vittima, figlio di un padre “uomo con la U maiuscola”, “serio, onesto, che combatteva il sistema”.

La riscrittura della storia

Secondo Riina jr, il padre non avrebbe mai ordinato l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, né le stragi del ’92. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sarebbero stati vittime di “altri poteri”. Totò Riina, invece, viene descritto come uomo d’onore, quasi un capo contadino in lotta contro le ingiustizie. È la stessa narrazione che Cosa nostra prova a far passare da decenni, con l’obiettivo di negare le proprie responsabilità storiche e criminali.

Invece le sentenze definitive parlano chiaro: decine di ergastoli per omicidi, stragi, traffici di droga, l’ordine di rapire e uccidere un bambino di 12 anni sciolto nell’acido. Una carriera criminale che ha devastato la Sicilia e l’Italia intera.

Il silenzio complice

Eppure, davanti a queste parole, i due conduttori Gioacchino Gargano e Luca Ferrito scelgono di sorridere, annuire, applaudire. Non giornalisti, dicono loro, ma “narratori”. Come se raccontare senza spirito critico, senza contesto, senza verità storica fosse una giustificazione. In realtà è una resa: trasformare il microfono in megafono per chi vuole riscrivere la storia.

Il rischio della legittimazione

Non è solo cattivo gusto. È pericoloso. Perché ogni volta che si offre spazio mediatico senza contraddittorio a chi porta avanti la retorica mafiosa, si legittima quella retorica. Si offre ai giovani l’idea che Totò Riina fosse un “padre di famiglia”, e non il mandante delle più efferate stragi della Repubblica.

La libertà di espressione non significa libertà di menzogna. Significa anche responsabilità nel raccontare i fatti. Ed è proprio qui che il podcast ha fallito: nella scelta di trasformare l’intervista a Riina in uno show, con applausi finali.

Il dovere della memoria

Falcone e Borsellino, gli agenti di scorta, i bambini come Giuseppe Di Matteo, i sindacalisti, i giornalisti, le centinaia di vittime innocenti: a loro non serve un applauso. Serve che la verità non venga mai oscurata.

E allora questo è il punto: se davvero vogliamo “narrare”, non possiamo dimenticare che Totò Riina è stato uno dei peggiori criminali della storia d’Italia. E che il figlio, libero di parlare, ha diritto di parola. Ma noi abbiamo il dovere di ascoltarlo con spirito critico, di ricordare i fatti, di dire ad alta voce ciò che i tribunali hanno già scritto: la mafia non è onore, non è sistema, non è famiglia. È morte, sangue e distruzione.

Un applauso, in questo caso, non è solo fuori luogo. È un insulto alla memoria delle vittime.



Antimafia | 2025-12-03 08:47:00
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