Nino Minardo è deputato nazionale di Forza Italia, attuale presidente della Commissione Difesa.
Lo abbiamo intervistato per fare chiarezza su cosa sarà dell’aeroporto di Trapani Birgi, sede del nuovo polo di addestramento dei piloti di F35. La nuova scuola si affiancherà alla International Flight Training School (ifts), centro di eccellenza per l’addestramento avanzato con sede a Decimomannu, in Sardegna. Una notizia che in questi giorni ha creato diverse polemiche e riacceso il dibattito sul futuro dello scalo civile trapanese.
Onorevole Minardo, la questione degli F-35 a Birgi sta agitando il mondo politico. In molti parlano di militarizzazione del territorio. Che succede?
Chi parla di militarizzazione non ha ben compreso la portata del progetto. A Birgi non nasce una nuova base militare, ma una scuola di addestramento: è una differenza enorme. Non ci saranno missili né armamenti, ma formazione, simulatori, tecnologia avanzata. La Sicilia non si militarizza, al contrario: diventa protagonista in un settore strategico. È un’opportunità di crescita e di sviluppo che ci permette di giocare un ruolo di primo piano nel Mediterraneo.
La paura di molti è che la pista utilizzata per i voli civili possa bloccare lo sviluppo turistico. Quali opportunità?
È esattamente il contrario. L’aeroporto Vincenzo Florio ha una pista che aspetta da quarant’anni di essere rifatta: grazie a questo progetto sarà finalmente ammodernata, insieme ad altre infrastrutture che andranno a beneficio anche del traffico civile. Gli esempi non mancano: la base americana di addestramento sorge accanto a Phoenix, capitale dell’Arizona, che conta tre aeroporti civili. Se lo fanno gli americani senza problemi di convivenza, non vedo perché non dovremmo farlo anche noi. Turismo e voli civili non solo non saranno penalizzati, ma potranno trarne vantaggi concreti.
Onorevole, può spiegare quali sono le ragioni strategiche che hanno portato alla scelta di Birgi come possibile base per gli F-35?
La Sicilia è al centro del Mediterraneo: una posizione unica, che la rende naturalmente baricentro delle strategie di sicurezza europea. Birgi ha già una pista, ha già strutture utilizzabili e ampliabili: non costruiamo dal nulla, ma investiamo sull’esistente. L’obiettivo è creare un polo di eccellenza internazionale, un gemello della base di Luke in Arizona, capace di attrarre piloti, tecnici e competenze da tutta Europa.
La presenza di caccia di quinta generazione in Sicilia potrebbe aumentare l’esposizione del territorio in caso di conflitti. Come viene gestito questo rischio?
È bene chiarire ancora una volta: non stiamo riportando indietro la storia ai tempi di Comiso. Non ci saranno missili, non ci saranno depositi di armi. Qui si fa addestramento, si fa formazione, si lavora con simulatori e tecnologie. La Sicilia ospita un centro di preparazione, non un obiettivo militare. Parlare di rischio conflitti significa non cogliere la vera natura di questo progetto.
Come si inserisce la base di Birgi nella più ampia strategia di difesa italiana ed europea nel Mediterraneo?
È parte di una visione integrata: dalla base di Birgi all’Hub del Mare di Messina, la Sicilia si propone come cuore della sicurezza e della cooperazione europea nel Mediterraneo. Non stiamo subendo decisioni dall’alto, ci siamo candidati a questo ruolo perché crediamo nelle potenzialità del territorio. Difesa significa sì sicurezza, ma anche ricerca, innovazione, sviluppo economico e occupazionale. È un investimento che proietta la Sicilia in uno scenario internazionale.
Questa decisione tocca temi di difesa, economia e ambiente nel nostro territorio. È previsto un dialogo con le Istituzioni locali?
Certamente. Non si tratta di un progetto calato dall’alto, ma di una scelta condivisa: la Sicilia ha deciso di candidarsi. Le istituzioni locali saranno coinvolte in tutte le fasi, perché il successo dipende dalla partecipazione del territorio. Difesa, economia, turismo, ambiente: tutto deve andare di pari passo. È una sfida che vogliamo trasformare in un’opportunità per tutti.