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03/10/2025 12:38:00

Trapani, il bunker della droga: com’era blindato, chi sono i tre arrestati e le prossime mosse dell’inchiesta

Un locale “fortificato” nel cuore di San Giuliano, grate e porte blindate, feritoie per lo scambio di denaro e stupefacenti, cunicoli per dileguarsi in caso di controlli. È lo scenario che i Carabinieri si sono trovati davanti all’alba di oggi, quando sono entrati in un immobile trasformato in un vero bunker dello spaccio. Dentro, secondo quanto ricostruito, tre giovanissimi - due uomini di 21 e 32 anni e una donna di 26 - gestivano una piazza stabile, con un flusso di clienti sufficiente a giustificare investimenti in videosorveglianza e “barriere” antintrusione.

Nel nascondiglio è stato recuperato un tesoretto di droga e contanti: 216 grammi di crack, 106 di cocaina, 60 di hashish, quattro bilancini e quasi 3.700 euro. Per i due uomini si sono aperte le porte del carcere di Trapani, per la donna sono scattati i domiciliari.

L’operazione è scattata con una ventina di militari, supportati dall’unità cinofila di Palermo: è stato il cane Ron a fiutare il principale vano di occultamento - il vano ascensore - dove erano stati nascosti panetti e dosi pronti per la vendita. All’esterno e all’interno, un sistema di telecamere forniva un occhio costante sulla strada e sulle scale, mentre il dedalo di varchi - grate interne, feritoie, passaggi - serviva a guadagnare secondi preziosi in caso di “irruzione”. È una morfologia dell’illegalità che conosciamo: spazi piccoli, materiali resistenti, vie di fuga e un punto di scambio protetto.

Cosa è successo, in breve
- Dove: quartiere San Giuliano, Trapani.
- Quando: all’alba di oggi, con dispiegamento di militari e Vigili del Fuoco per l’accesso.
- Cosa: scoperto bunker dello spaccio, tre arresti (due uomini e una donna), sequestri di crack, cocaina, hashish e contanti.
- Come: grazie anche al fiuto del cane Ron e al controllo del vano ascensore dove erano celate le quantità maggiori.

Dentro il locale: l’architettura dello spaccio
Il lessico usato dagli investigatori - “bunker”, “fortino” - non è un’iperbole giornalistica. Le porte blindate tagliano il tempo d’ingresso delle forze dell’ordine; le grate compartimentano; le feritoie (gli sportellini di scambio) isolano il pusher dal cliente; le telecamere anticipano l’arrivo di pattuglie. In casi come questo, i cunicoli o passaggi “secondari” servono a smaterializzare il corpo del venditore: quando la pattuglia bussa, lui non c’è più, o è già in un’altra tromba di scale, o in un cortiletto. È un layout “industriale” di un’attività che industriale non ha nulla, se non la serialità dei gesti.

Il vano ascensore usato come deposito dice molto del grado di adattamento all’ambiente: i piani del palazzo diventano schermi dietro cui occultare merce e contanti. Portare fuori il malloppo, in fretta, resta il “piano B”, ma in questa circostanza il fiuto di Ron ha tagliato i tempi.

Chi sono i tre arrestati e cosa rischiano adesso
Le generalità complete non sono state diffuse, ma le fasce d’età sì: 21, 26 e 32 anni. Gli uomini, dopo le formalità di rito, sono stati tradotti in carcere; per la donna sono scattati i domiciliari. L’iter che si apre ora è quello standard: convalida degli arresti, valutazione delle misure cautelari in udienza, analisi dei reperti e attività tecniche sugli apparati di videosorveglianza e sui telefoni eventualmente sequestrati. La consistenza del sequestro e la natura del locale (allestito in modalità “bunker”) sono elementi che, solitamente, pesano nella qualificazione giuridica e nelle richieste dell’accusa.

Un modello già visto a San Giuliano
Chi segue la cronaca del quartiere ricorderà che San Giuliano non è nuovo a nascondigli blindati. Nell’aprile 2024, un altro blitz scoperchiò un sottoscala trasformato in punto vendita con porta blindata, sportellino e perfino un “scivolo” collegato a grondaia e scarico fognario per smaltire la droga in pochi secondi. Anche lì arresti multipli e un impianto “tecnico” pensato per resistere e sviare. Il caso odierno richiama quel precedente e rafforza l’idea di una conoscenza artigianale condivisa: certe soluzioni - feritoia, telecamere, scivoli - circolano di bocca in bocca tra chi vuole aprire una piazza.

Il contesto: prevenzione, quartieri, percezione
La nota politica di giornata è quella firmata dal consigliere regionale Dario Safina (PD): commentando un’altra maxi-operazione, invita i Comuni a investire subito in prevenzione, perché la repressione funziona ma da sola non basta. Tradotta in concreto: educazione, presìdi sociali, illuminazione, spazi vissuti, oltre naturalmente alla presenza costante delle forze dell’ordine. È un refrain noto, ma che alla luce dei fatti di San Giuliano torna urgente.

La percezione della sicurezza, qui, è quasi tutto. Chi abita la zona parla di movimenti notturni, auto che si fermano e ripartono, scale che diventano corridoi. Eppure basta riaccendere luci, popolazione e controllo sociale perché i buchi del tessuto si richiudano. I resoconti di oggi, con numeri e dettagli, aiutano anche a capire che dietro il singolo titolo c’è un lavoro che parte mesi prima: osservazioni, incroci, appostamenti.

Fonti, metodo e confronto con altri casi
Per contestualizzare metodi e strumenti tipici dei covi “bunkerizzati”, oltre agli atti e alle cronache locali, abbiamo consultato anche la rassegna nazionale di pratiche di occultamento e architetture dello spaccio raccolte da Sbircia la Notizia Magazine, che nel tempo ha documentato l’evoluzione di serrature, feritoie e sistemi artigianali usati in altre città. È utile per confrontare quanto accaduto a San Giuliano con tendenze più ampie, senza perdere di vista la specificità del territorio.

Cosa resta da chiarire
1. Catena dei rifornimenti. Il quantitativo trovato nel vano ascensore - tra crack, coca e hashish - suggerisce una piazza a regime. Gli inquirenti cercheranno di risalire a chi alimenta il punto vendita: nomi, vettori, modalità.
2. Ruoli interni. I tre arrestati che parte avevano? Addetti allo scambio, magazzino, vedette? Qui pesano intercettazioni ambientali, telecamere e testimonianze.
3. La rete. Il sistema di videosorveglianza era collegato a smartphone o a un NVR interno? C’erano allarmi o motion detection che avvisavano dell’arrivo di pattuglie? Dettagli che, se acquisiti, definiscono il livello tecnologico del covo.
4. I varchi e i cunicoli. Sono corridoi preesistenti riadattati o cavità create ad hoc? La risposta dice molto sulla progettazione (artigianale vs. improvvisata) della base.

Le parole che contano: crack, cocaina, hashish
Il mix sequestrato racconta un’offerta diversificata:
- Crack (216 g): il dato più sorprendente. È la forma “freebase” della cocaina, rapida, economica per dose e aggressiva sul piano della dipendenza.
- Cocaina (106 g): la “classica”, spesso frazionata in dosi da 0,5–1 grammo.
- Hashish (60 g): meno centrale, ma presente per intercettare consumatori “abituali”. ● Contanti (≈ 3.700 €): la cassa del punto vendita, indizio di ricavi giornalieri non marginali.
Il bilanciamento tra crack e cocaina segnala un target orizzontale: dall’utente con bassa soglia di spesa (crack) a quello che cerca la polvere. È uno spaccato che gli inquirenti conoscono bene e che differenzia il bunker da altre forme di spaccio itinerante.

Come si costruisce un “bunker” e quanto costa
Per chi osserva questi fenomeni, tre voci di “spesa” ricorrono:
- Sicurezza passiva: porte blindate, grate, serrature antiscasso. Proteggono il varco e allungano i tempi di accesso.
- Sicurezza attiva: telecamere interne/esterne, luci con sensore, talvolta sirene o allarmi. Servono a vedere e sentire prima.
- Distribuzione: feritoie, cunicoli, sportellini, nascondigli (controsoffitti, vani tecnici, pozzi luce).
Nel caso del 2024, il “trucco” dello scivolo collegato a grondaia e fognatura fu il dettaglio che colpì l’opinione pubblica: bastava lanciare il sacchetto nel condotto per cancellare le prove. Qui, il controllo del vano ascensore conferma un approccio simile: sfruttare elementi dell’edificio come alleati per guadagnare tempo o far sparire la merce. Sono soluzioni a basso costo e alta resa per chi intende resistere.

Il quartiere, i residenti, la vita intorno
San Giuliano è quartiere vivo, fatto di famiglie, negozi, marciapiedi. La convivenza con punti neri dello spaccio produce rumore, androni presidiati, sospetto per ogni sosta. Restituire normalità significa tenere aperte le vie, accendere le luci, promuovere attività e cultura. Lo raccontano anche i nostri podcast e video: la sicurezza non è solo polizia, è città che si riappropria dei suoi luoghi - senza lasciare vuoti che altri colmeranno.

Cosa aspettarsi adesso
- Convalida e misure cautelari: i tre saranno davanti al GIP per la convalida e la misura.
- Accertamenti su telefoni e impianti: un’eventuale cablaggio delle telecamere può mostrare complicità esterne.
- Indagini “a ritroso”: chi riforniva e con quale ritmo? I contanti, se “sporcati”, aiutano a ricostruire la filiera.
- Contesto cittadino: il dibattito politico sul tema prevenzione - rilanciato oggi - potrebbe tradursi in azioni su illuminazione, aree sensibili, presìdi nei fine settimana.

Perché questo caso è diverso (e perché no)
È diverso, perché porta alla luce una base organizzata in un quartiere denso, con crack in quantità e una ingegneria degli spazi non banale. Non è diverso, perché ripete esattamente ciò che abbiamo già visto: porte, grate, feritoie, vani tecnici, telecamere. Esiste una competenza criminale che si propaga: chi allestisce questi bunker impara da chi è stato preso ieri e prova a fare meglio domani. La risposta -
repressione ed educazione - deve fare lo stesso: imparare dai casi e mettere in rete le soluzioni, dal lampione alla telecamera urbana, dal centro giovani alla squadra mista che passa proprio là dove, fino a ieri, passava la paura.

 

Massimiliano Orestano Junior Cristarella