Le coltivazioni di grano siciliano, tra cui spicca il rinomato Dittaino, rischiano di subire gravi ripercussioni a causa del forte calo dei prezzi, secondo quanto segnalato da Coldiretti e da Italia Nostra. I dati diffusi da Ismea confermano una tendenza preoccupante: produrre un quintale di grano per pasta nel Sud Italia costa agli agricoltori circa 31,8 euro (30,3 euro al Centro-Nord), mentre il prezzo di vendita attuale si attesta intorno ai 28 euro, costringendo molte aziende a lavorare in perdita. Coldiretti avverte che la situazione potrebbe innescare una crisi senza precedenti nel settore.
Concorrenza estera e importazioni problematiche
Negli ultimi quattro anni, la pressione dei mercati internazionali ha determinato un calo dei compensi per gli agricoltori tra il 35% e il 40%, minacciando la sostenibilità delle future semine e la stabilità economica delle aziende agricole. Particolarmente critica è la concorrenza del grano canadese, che secondo Coldiretti viene trattato con sostanze come il glifosato, vietate in Italia. L’associazione chiede al Governo e all’Unione Europea di adottare misure restrittive sulle importazioni e di investire nella ricerca agricola.
Il grano come patrimonio culturale
Italia Nostra, attraverso le parole di Nella Tranchina e Liliana Gissara, sottolinea come il grano siciliano non sia solo una coltura economica: “I campi di grano hanno modellato per secoli il paesaggio dell’Isola, creando un equilibrio unico tra natura e cultura che è parte integrante della nostra identità”.
La crisi arriva in un momento simbolico: l’UNESCO si appresta a riconoscere la Cucina Italiana come patrimonio immateriale dell’umanità, e il grano è alla base di prodotti iconici come pane, pasta e dolci. Italia Nostra evidenzia che il declino della produzione locale non riguarda solo gli agricoltori, ma l’intera comunità, poiché tocca l’identità culturale e gastronomica della Sicilia e dell’Italia intera.
“Salvaguardare il grano siciliano significa proteggere non solo i nostri agricoltori, ma anche la storia e le tradizioni culinarie del Paese. La perdita di queste colture equivarrebbe alla scomparsa di un pezzo fondamentale dell’Italia”, concludono i rappresentanti dell’associazione.