Una nuova speranza per chi soffre di emicrania resistente ai farmaci arriva da due studi italiani pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Cephalalgia. I risultati mostrano che una sofisticata tecnica di neuromodulazione non invasiva – basata su campi magnetici o correnti elettriche applicate a specifiche aree cerebrali – può dimezzare la frequenza e ridurre significativamente l’intensità del dolore anche nei pazienti che non rispondono alle cure più avanzate.
“Questi risultati ci hanno convinti a organizzare una sperimentazione nazionale più ampia”, spiega la professoressa Marina De Tommaso, ordinario di Neurologia all’Università di Bari e presidente della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC), che ha coordinato uno dei due studi. “Se i dati saranno confermati, chiederemo che la neuromodulazione venga inserita nei LEA, cioè tra le prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale”.
La tecnica: stimolare il cervello per modulare il dolore
Il primo studio, condotto dal gruppo di Neurofisiologia dell’Università di Bari, ha utilizzato una procedura chiamata iTBS (intermittent Theta Burst Stimulation), una forma di stimolazione magnetica transcranica. I ricercatori hanno osservato che nel mese successivo al trattamento il numero degli attacchi di emicrania si dimezzava, mentre l’intensità del dolore diminuiva del 30% — percentuale che saliva al 50% nel mese seguente.
Durante una seduta, della durata di circa 20 minuti, un apparecchio dotato di una bobina (coil) viene posizionato sulla testa del paziente, guidato da un sistema di neuronavigazione per colpire con precisione la corteccia prefrontale, area chiave nel controllo del dolore. Il campo magnetico generato modula la funzionalità delle sinapsi, attenuando la trasmissione degli impulsi dolorosi senza provocare fastidio.
“Mentre i farmaci più moderni agiscono a livello periferico bloccando il CGRP – un peptide coinvolto nella trasmissione del dolore e nella dilatazione dei vasi cerebrali – la neuromodulazione agisce direttamente sulle aree cerebrali del dolore”, spiega De Tommaso.
Lo studio barese, condotto su 12 pazienti, ha previsto un trattamento intensivo di cinque sedute giornaliere per quattro giorni consecutivi, dimostrando la buona tollerabilità della procedura.
Il secondo studio: correnti elettriche e anticorpi monoclonali
Quasi in contemporanea, Cephalalgia ha pubblicato un secondo lavoro, frutto della collaborazione tra le Università dell’Aquila e di Pavia, coordinate rispettivamente dalla professoressa Simona Sacco e dalla professoressa Cristina Tassorelli. In questo caso, la neuromodulazione è stata realizzata attraverso corrente continua (tDCS) somministrata tramite elettrodi posizionati sul capo (anodo anteriore, catodo posteriore).
La stimolazione è stata associata alla terapia con anticorpi monoclonali anti-CGRP, per verificare un possibile effetto sinergico. Il risultato? Dopo un mese di follow-up, i pazienti trattati con la combinazione delle due tecniche hanno mostrato una riduzione ulteriore e significativa del numero di attacchi rispetto a chi aveva ricevuto solo i farmaci.
Sebbene lo studio, condotto su 15 soggetti, presenti numeri limitati, i risultati rafforzano l’ipotesi che agire direttamente sui meccanismi centrali del dolore possa potenziare l’efficacia delle terapie farmacologiche.
Verso una sperimentazione nazionale
“L’esiguità del campione impone cautela – sottolinea De Tommaso – ma i dati sono estremamente incoraggianti. Per questo stiamo già avviando, insieme ad altri centri SISC di Milano, Roma, Palermo e Latina, una sperimentazione più ampia. Se confermerà l’efficacia della neuromodulazione, presenteremo i risultati al Ministero della Salute per chiederne l’inserimento nei LEA, almeno per i pazienti refrattari”.
Un passo avanti nella cura dell'emicrania
Negli ultimi anni la terapia dell’emicrania ha fatto enormi progressi grazie ai farmaci mirati, come gli anticorpi monoclonali, che hanno migliorato la qualità di vita di milioni di persone. Tuttavia, almeno un paziente su dieci non ottiene benefici nemmeno con le cure più avanzate.
Le nuove tecniche di neuromodulazione transcranica non invasiva potrebbero dunque rappresentare una svolta: un approccio innovativo, indolore e privo di effetti collaterali significativi, capace di restituire sollievo anche a chi finora non ne aveva trovato.