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17/10/2025 06:00:00

I tornelli, le parentele, le ombre: il caso Mondello

Sembrava solo una delle tante polemiche estive da ombrellone, la classica zuffa tra bagnanti che lottano per l’ultimo posto in riva al mare. Invece, la vicenda della spiaggia di Mondello, il salotto balneare di Palermo, si è rivelata un autentico verminaio. Un intreccio degno del miglior (o peggior) noir siciliano, dove non si parla di un giorno di mare negato, ma di anni di mare sottratto, con un cast di personaggi che, se fossero in una serie tv, sarebbero a metà strada tra “Sapore di mare” e “Mare fuori”.

La reazione, tra il Palermitano e il resto d’Italia, è stata un classico coro di “Non sapevo”, “Non pensavo”, “Ma come è possibile?”. In realtà, la storia è molto più semplice di quanto la confusione degli ultimi giorni voglia far credere. Ed è questa.

 

La spiaggia di Mondello, la più importante, iconica e, diciamocelo, scenografica di tutta la Sicilia, è gestita da cento anni dalla Società Italo Belga. Un nome che evoca esotismi d’altri tempi e rigore nordico, ma che, per chi vive a Palermo, significa soprattutto una cosa: l’arenile è chiuso.

Per diverso tempo l’accesso al mare – bene pubblico per eccellenza, almeno sulla carta – è stato regolato da barriere e tornelli. Il mare, a Mondello, non era di tutti, ma solo di chi poteva pagare o chi aveva santi in paradiso. E fin qui, nulla di strano per la Sicilia dei privilegi negati.

Il contesto, però, è quello giusto per un’inchiesta. L’area di Mondello ricade infatti sotto il mandamento mafioso di San Lorenzo, storicamente in mano prima a Saro Riccobono, poi ai Lo Piccolo.

Quest’estate, grazie alla denuncia di un deputato regionale, Ismaele La Vardera (giovane alla prima esperienza e per questo forse più battagliero di altri), si scopre l’ovvio: quelle delimitazioni, quei recinti sulla sabbia, sono irregolari. La Regione Sicilia, dopo un sonno che dura dal 1903 (o almeno così pare), si sveglia e ne ordina finalmente la rimozione.

Durante un sopralluogo, però, accade l’inevitabile. Il deputato viene trattato malamente da alcuni dipendenti della Italo Belga. Uno di questi, si scopre, è il nipote (incensurato, teniamolo a mente) di Salvo Genova, capo mandamento di Resuttana e di cui il dipendente era stato in passato autista.

Ma la rete di parentele sul bagnasciuga non finisce qui. Il fratello del boss, Mimmo Genova, anche lui incensurato, risulta essere uno storico dipendente della società Italo Belga. Insieme a lui, lavorano i figli, Rosario e Rosi, quest’ultima moglie di Giuseppe Biondino, a sua volta capo mandamento di San Lorenzo.

Quando poi il figlio di Mimmo, Bartolo Genova, viene arrestato, la società è costretta a licenziarlo. Ma non si piange con entrambi gli occhi: subito dopo, la moglie viene assunta “per motivi umanitari”.

Su questa assunzione arriva il commento del vecchio patron, Giuseppe Castellucci, che con una leggerezza sorprendente minimizza le accuse di mafia – «Vista solo sui giornali» – e definisce l’assunzione della moglie del boss un’«opera di carità».

 Una ditta che, si scopre, ha delle maestranze così specializzate e mezzi così all’avanguardia da essere stIl punto non è solo chi lavora in segreteria, ma aziona la pala. Quando l’Italo Belga deve smantellare le cabine, a chi si rivolge? Alla Gm edil di Rosario Genova (il figlio di Mimmo e nipote del boss).ata selezionata non solo dall’Italo Belga, ma anche dalla Regione stessa.

Sì, proprio l’Assessorato al Territorio, l’ente che dovrebbe controllare il demanio marittimo e le concessioni balneari (quella dell’Italo Belga, per intenderci), ha convocato la Gm edil due anni fa, insieme ad altre ditte, per la manutenzione ordinaria dell’autoclave di alcuni dipartimenti

Il deputato La Vardera non ci sta: «È alquanto sospetto che l’azienda Gm edil sia stata invitata a partecipare dall’assessorato al Territorio, ente che controlla proprio il demanio marittimo e le concessioni balneari». E aggiunge un dettaglio non da poco: la Gm edil non risulta neanche iscritta in white list, la certificazione antimafia, perché il suo fascicolo è ancora in istruttoria dal 2022. La ditta del fratello del boss smonta le cabine di Mondello e, due anni prima, si fa invitare dalla Regione che su quelle stesse cabine dovrebbe vigilare.

A questo si aggiungono le vecchie inchieste, poi finite nel nulla, che parlavano di Mimmo Genova come l’uomo che distribuiva tessere di favore per il lido a mafiosi di primissimo piano.

Del resto, i campanelli d’allarme suonavano già nel 1974, quando il giornale L’Ora (lo storico quotidiano palermitano che, in tempi non sospetti, fece giornalismo d’inchiesta sulla mafia) denunciò tutto in occasione dell’omicidio dello storico guardiano della spiaggia di Mondello.

Cinquant’anni fa il problema era già noto. Oggi, nel 2025, invece, apprendiamo con stupore il racconto di un imprenditore che denuncia di essere stato «consigliato», in occasione di un appalto preso in zona, a noleggiare alcuni mezzi di movimento terra proprio dalla ditta Italo Belga.

Il caso diventa ufficialmente politico. Cinque consiglieri comunali – Giuseppe Miceli, Giulia Argiroffi, Salvatore Forello, Fabio Giambrone e Mariangela Di Gangi – hanno depositato una richiesta formale per una seduta urgente del Consiglio Comunale. All’ordine del giorno, un solo punto: «Vicenda Italo Belga e tutela dell’immagine della città di Palermo».

La lettera dei consiglieri al presidente del Consiglio, Giulio Tantillo, è un atto d’accusa indiretto: denunciano «diversi e allarmanti elementi di opacità» e la «possibile ingerenza di famiglie mafiose». Ma l’affondo più pesante è sulla grande assente: la città non ha ancora approvato il Piano di Utilizzo del Demanio Marittimo (Pudm). Senza Pudm, lo strumento che disciplina l’uso delle aree costiere e al quale devono conformarsi gli atti concessori regionali, si afferma nella richiesta, «le concessioni sono da considerarsi illegittime».

Il caso spiagge, insomma, non è solo una querelle balneare, ma una falla nel sistema amministrativo, un buco nero in cui sono finite legalità e trasparenza per decenni. Sul caso, intanto, si sono accesi i riflettori delle Commissioni Antimafia, sia regionale che bicamerale, che hanno già aperto un’istruttoria.

La questione non è più se le delimitazioni siano abusive, ma se la città di Palermo, e con lei le sue istituzioni, sia stata connivente o colpevolmente inerte.

Forse, a Palermo, il vero problema non è il mare che manca, ma la schiuma della retorica che abbonda. Ci sono voluti cento anni, una denuncia social, un giovane deputato e l’ennesimo scandalo per scoperchiare questa storia. E oggi, mentre le Commissioni Antimafia aprono istruttorie e i consiglieri comunali s’indignano per il Pudm mai approvato, il mare negato di Mondello diventa l’emblema perfetto di una Sicilia che parla tanto di lotta alla mafia, ma poi lascia che l’ombra della stessa Mafia si allunghi, indisturbata, salotto buono della città. La migliore risposta a chi dice che oggi la mafia è sconfitta. Ma quando mai, magari si è solo presa un ombrellone in prima fila.