Diventa definitiva la misura di sequestro disposta nell’ambito dell’inchiesta “Dirty Mud”, sull’appalto per il dragaggio del porto di Trapani.
La Corte di Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal titolare dell’impianto di lavaggio dei fanghi, installato a Porto Empedocle, mettendo così la parola fine — almeno sotto il profilo cautelare — a una delle vicende ambientali e giudiziarie più delicate degli ultimi anni in Sicilia.
L’inchiesta della Procura di Agrigento
L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Agrigento, ha svelato un presunto sistema di frode e gestione illecita dei rifiuti legato ai lavori di dragaggio del porto trapanese, un appalto dal valore di quasi 60 milioni di euro finanziato con fondi pubblici.
Secondo gli inquirenti, i fanghi marini provenienti dal dragaggio del fondale — invece di essere sottoposti al corretto trattamento di bonifica tramite il sistema “sediment washing” — sarebbero stati accumulati e smaltiti direttamente in discarica, in violazione delle prescrizioni ambientali e del capitolato d’appalto.
L’impianto e il traffico dei fanghi
Il progetto prevedeva il trasferimento dei fanghi a un impianto mobile di lavaggio installato sul molo di levante di Porto Empedocle, con un deposito temporaneo in località Caos.
Ma le verifiche tecniche hanno evidenziato che il sistema di trattamento non sarebbe mai entrato realmente in funzione.
In diverse discariche dell’Agrigentino — tra cui una di circa 10.000 metri quadrati — sono stati trovati rifiuti speciali e fanghi compatibili con quelli del porto di Trapani, segno che il materiale non avrebbe subito alcun processo di depurazione.
Frode e smaltimento illecito
Il sequestro preventivo dell’impianto e dei materiali era stato disposto già nei mesi scorsi, insieme alla denuncia di diversi soggetti per frode nell’esecuzione di appalto pubblico e smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali.
Con la decisione della Cassazione, che ha ritenuto infondate le doglianze difensive, il provvedimento diventa definitivo e consolida l’impianto accusatorio formulato dalla Procura.
Un’indagine destinata a fare scuola
Il caso “Dirty Mud” — letteralmente “fango sporco” — rappresenta uno dei primi procedimenti in Sicilia a indagare sull’intera filiera del trattamento dei sedimenti marini, settore spesso poco controllato ma potenzialmente ad alto impatto ambientale e finanziario.
La vicenda, che intreccia appalti pubblici, procedure di bonifica e tutela ambientale, resta ora al vaglio del Tribunale di Agrigento per i prossimi sviluppi giudiziari, mentre il sequestro dell’impianto sancito dalla Cassazione pone un sigillo definitivo sulla fase cautelare dell’inchiesta.