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09/11/2025 06:00:00

“Non sono incidenti, è operaicidio”: Trapani guarda in faccia le morti sul lavoro

Le morti sul lavoro non sono incidenti: sono operaicidi”. È con questa frase, dura e necessaria, che Bruno Giordano – magistrato di Cassazione – ha aperto a Trapani una giornata che ha messo insieme memoria, Costituzione e futuro. Una parola che nei dizionari non esiste: operaicidio. Inventata da Giordano e dal giornalista Marco Patucchi per dire che chi muore lavorando non è vittima del caso, ma di diritti mancati, tutele assenti, precarietà diventata sistema.

 

La mattina, al Teatro Tonino Pardo, davanti agli studenti delle scuole superiori di Trapani ed Erice, è stato proiettato il docufilm “Articolo 1”, tratto dal libro Operaicidio. Il film non mostra cifre, ma volti. Racconta chi è uscito di casa per lavorare e non è più tornato. Nessuna musica di sottofondo, nessuna retorica: solo voci, storie, silenzi. L’incontro è stato promosso dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Trapani e dal Distretto Socio Sanitario D50, moderato da Rosanna Provenzano, che ha detto: “La giustizia non vive solo nei tribunali: vive qui, tra i ragazzi, dove nasce la coscienza civile”. In sala il sindaco Giacomo Tranchida, che ha ricordato: “A Trapani c’è una madre che ancora piange il figlio morto mentre lavorava. Dietro ogni incidente c’è un nome, una famiglia. Parlare di sicurezza significa parlare di vita, non di burocrazia”.

 

Sul palco, Giordano non si è limitato a spiegare la legge. Ha parlato di Costituzione, quella scritta “col voto di tutti, anche delle donne”. E ha aggiunto: “L’articolo 1 dice che la Repubblica è fondata sul lavoro. Ma oggi la flessibilità è diventata precarietà, e la precarietà è un ricatto: o accetti, o il lavoro lo faccio fare a un altro. Un ragazzo pagato in nero, senza contratto, senza casco, non è libero: è dentro un operaicidio lento”. Poi il dato che fa male: 3 milioni e 132 mila lavoratori in nero in Italia, 300 mila in più dell’anno scorso. “Quando non pagano contributi, quando non rilasciano scontrini, non è furbizia: è un furto di diritti, è ciò che toglie sicurezza, ispettori, dignità”.

Marco Patucchi ha portato il punto di vista del giornalista: “Per tre anni ho scritto su Repubblica la rubrica ‘Morire di lavoro’. Ogni giorno tre morti. Ma non volevo raccontare solo come morivano, volevo raccontare chi erano: passioni, famiglie, sorrisi. Perché quando i numeri diventano abitudine, la coscienza smette di reagire”. E quando uno studente ha chiesto: “Ma noi cosa possiamo fare?”, Giordano ha risposto: “Non accettare che il lavoro sia umiliazione. Pretendete contratti, sicurezza, verità. Il lavoro è dignità, non sopravvivenza”.

Nel pomeriggio, la parola è passata agli adulti. Al Conservatorio Scontrino, il libro “Operaicidio. Perché e per chi il lavoro uccide” è stato presentato davanti alle massime istituzioni: il sindaco Tranchida, la prefetta Daniela Lupo, il procuratore Gabriele Paci, la direttrice UEPE Sicilia Gabriella Di Franco, la presidente del Tribunale Alessandra Camassa. A moderare l’incontro il giornalista di Repubblica Massimo Norrito. Qui il tono è cambiato: non più domande dei ragazzi, ma responsabilità degli adulti. “Serve una riforma che rimetta al centro il lavoro e non il profitto”, ha detto Patucchi. “Perché l’Italia ha i salari più bassi d’Europa, e senza dignità salariale non c’è libertà.”

Tranchida ha proposto di ricordare ogni vittima con nome e cognome, non con un numero: “Una cultura che dimentica i nomi dimentica anche le colpe”. Provenzano ha rilanciato l’idea di una “giustizia di comunità”, che parte dalle scuole e arriva nelle fabbriche. E gli studenti, usciti dal teatro, non parlavano di diritto o economia. Dicevano solo: “Noi vogliamo tornare a casa”.

Trapani, per un giorno, ha guardato in faccia il lavoro. Non quello dei contratti, ma quello delle mani, delle storie, delle assenze. Un lavoro che può costruire, ma che se ignorato, può uccidere. E ha un nome: operaicidio.