Saverio Romano si difende: "Orrore giudiziario che trovolge le vite"
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Tra le carte dell’inchiesta che ha scosso la Sicilia e che riguarda non solo Totò Cuffaro c’è il nome di Saverio Romano. Deputato nazionale, già ministro dell’Agricoltura, che ha saputo della richiesta di arresti domiciliari solo dai giornali e da nessun’altra notifica.
Il suo avvocato Raffaele Bonsignore ha chiarito alcuni aspetti: “Il mio assistito, onorevole Francesco Saverio Romano, è indagato esclusivamente in relazione ad un unico episodio e ai capi di imputazione ad esso riferiti. Tutte le ulteriori ricostruzioni giornalistiche che fanno riferimento ad altri aspetti dell’indagine, o che collegano il suo nome a vicende e soggetti del tutto estranei ai fatti contestati, sono prive di fondamento e costituiscono un accostamento improprio e fuorviante, tale da ingenerare nell’opinione pubblica la falsa percezione che l’onorevole Francesco Saverio Romano sia coinvolto in una pluralità di episodi o in condotte che non gli sono in alcun modo attribuite. Si invitano – aggiunge – gli organi di informazione, le agenzie di stampa, i quotidiani cartacei e le testate online ad attenersi a una rappresentazione corretta e rigorosa dei fatti, nel pieno rispetto del principio di presunzione di innocenza e del diritto alla reputazione del mio assistito”.
Romano sui social: storia di un orrore giudiziario
Sabato mattina il deputato di Noi Moderati si è lasciato andare, sul suo profilo Facebook, ad uno sfogo che è umano: “Ci sono momenti nella vita di un uomo in cui il tempo si ferma. Non perché manchi il respiro o la forza, ma perché un’ingiustizia improvvisa si abbatte come un vento freddo, gelando ogni certezza. Questo post nasce da quel silenzio. Non per difendere un ruolo o una posizione, ma per raccontare, con la lucidità che resta dopo lo sgomento, come un semplice atto giudiziario possa trasformarsi in un’arma mediatica, e come la reputazione di una persona possa essere travolta in poche ore da titoli, insinuazioni e semplificazioni. È un martedì come tanti, quando l’agenzia batte la notizia: “Indagine per corruzione e turbativa d’asta, coinvolto anche l’ex ministro Romano”. Le parole “indagine”, “coinvolto”, “corruzione” bastano a riscrivere il senso di una vita. In poche ore, senza che vi sia la riservatezza che dovrebbe accompagnare la presunzione d’innocenza, un nome viene esposto al pubblico ludibrio. La stampa locale rilancia, quella nazionale amplifica, i social giudicano”.
Anche Romano scopre la piazza dei social quanto pericolosa possa essere: “Nessuno legge le carte, ma tutti commentano. Eppure, nel provvedimento non c’è nulla più di un supposto episodio da verificare davanti al Giudice. Un atto, in assenza di qualsiasi elemento concreto, che diventa però il seme di una macchina narrativa irreversibile. Chi porta un nome pubblico non è mai solo, dietro ci sono famiglie, amici, colleghi, collaboratori. In un istante, tutto ciò che hai costruito in decenni di impegno politico, professionale e umano, viene messo in discussione. Chi ti conosce tace per rispetto, chi non ti conosce ti giudica per riflesso”.
Il parlamentare parla di degrado di “un sistema informativo che non distingue più tra notizia e sospetto. Poi arrivano le carte, e si scopre che tutto si regge su pochi fogli, scritti in linguaggio formale, dove il tuo nome appare accanto ad altri. Non ci sono intercettazioni dirette che ti riguardano, né denaro, né favori, né appalti truccati. Solo un’ipotesi generica, collegata a un “episodio” che non ti vede autore di alcun atto, ma soltanto menzionato in modo indiretto”.
E poi continua: “Il processo mediatico non ha regole, non conosce presunzione d’innocenza, non ammette difesa. Basta un titolo per costruire una colpa. Un pubblico ministero può impiegare mesi per scrivere una richiesta, un giudice alcune settimane per valutare e decidere, ma un titolo può distruggere una reputazione in cinque minuti.
Il giornalismo d’inchiesta diventa gossip giudiziario, e il cittadino perde il diritto alla verità. Ma il diritto, seppure ferito, resiste.
E la prima forma di difesa è la trasparenza: renderò interrogatorio davanti al giudice risponderò ad ogni domanda. Combattero’ con tutte le mie forze per affermare la mia innocenza, lo devo a me stesso, ai miei familiari, ai miei amici ed alle mie amiche, alla mia comunità politica, a quei cittadini italiani che hanno già sofferto l’ingiustizia della gogna mediatica. Non c’è vendetta, in questa battaglia. C’è solo la volontà di restituire dignità a un principio: nessuno è colpevole finché non è condannato”.
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