×
 
 
02/12/2025 06:00:00

Trapani, il caso dei 9 consiglieri si sposta a Palermo. Congelata la sfiducia al sindaco

A Trapani la decadenza dei nove consiglieri è diventata il più grande salvagente politico dell’anno. Un caso unico in Italia: mai un Comune si era trovato a valutare la possibile uscita simultanea di nove componenti dell’aula. Una vicenda che oggi salva tutti: maggioranza, opposizione e perfino il presidente del Consiglio. E soprattutto blocca la mozione di sfiducia al sindaco, sparita dal dibattito dopo settimane in cui era stata sventolata come un’arma politica.

Sarà Palermo, e non il Consiglio comunale di Trapani, a stabilire cosa succederà. L’intero fascicolo verrà trasmesso all’Assessorato regionale alle Autonomie locali, che dovrà chiarire se la procedura ex articolo 29 doveva essere aperta, se le giustificazioni sono valide e se lo Statuto è stato applicato correttamente. Tempi lunghi: 10 giorni per il primo riscontro, poi eventuali richieste di chiarimento, poi 30 giorni per il parere, prorogabili di altri 30. Tradotto: si va a gennaio, dopo l’Epifania. Un limbo perfetto.

La conferenza dei capigruppo — presenti Miceli, Fileccia, Mangano, Patti, Parisi, Carpinteri, Peralta, il vicepresidente Gabriele, e come vice di commissione Genco — doveva affrontare tre punti: valutazioni preliminari, esame delle giustificazioni, determinazioni. Non si è arrivati nemmeno ad aprire il punto 1. Nessun voto. Nessuna assunzione di responsabilità.

Al centro della seduta il parere del segretario generale Giovanni Panepinto, che aveva già definito l’istanza “inammissibile”, sostenendo che le assenze dei consiglieri — Genco, Grignano, Carpinteri, Parisi, La Barbera, Patti, Guaiana, Cammareri, Braschi — fossero politiche e quindi giustificabili. Lo ha ribadito più volte durante la riunione.

L’opposizione ha reagito con durezza. Per Maurizio Miceli, «il segretario non può chiudere la pratica da solo. L’articolo 29 assegna la valutazione alla conferenza e poi al Consiglio». Tradotto: non può essere il tecnico a fermare un procedimento politico.

Poi il passaggio più delicato: il presidente del Consiglio Alberto Mazzeo ha perfino chiesto di sostituire Panepinto per presunta incompatibilità. La vice segretaria generale Nunziata Gabriele ha respinto tutto, confermando che non c’è alcuna incompatibilità e che il parere del segretario è corretto e sufficiente a dichiarare il procedimento improcedibile.

Nasce così il vero corto circuito amministrativo. Dopo aver ricevuto quel parere, Mazzeo nomina proprio Panepinto come RUP (Responsabile unico del procedimento). Panepinto gli fa notare che non si può essere nominati responsabili di un procedimento che si è già dichiarato chiuso. Allora Mazzeo tenta di nominare come RUP la vice segretaria. Ma anche lei si oppone: il RUP, cioè il segretario, ha già formalmente chiuso la procedura, e nessun altro può subentrare quando mancano i presupposti dell’articolo 29. Tutto verbalizzato, tutto agli atti.

In mezzo a questo clima, la consigliera Marzia Patti deposita una memoria di cinque pagine, ora parte integrante del fascicolo che arriverà in Regione, in cui espone tre motivi giuridici per cui la decadenza non può procedere e chiede l’archiviazione. Gli altri consiglieri coinvolti ribadiscono che la giustificazione politica del 22 ottobre era valida per entrambe le sedute e, in alcuni casi, l’hanno integrata con motivi personali, di salute o di sicurezza.

L’opposizione contesta tempi, modalità, comunicazioni e perfino la gestione della conferenza. Mazzeo replica parlando di pressioni, clima teso e necessità di tutela dell’istituzione: «Per evitare speculazioni politiche e sospetti sull’imparzialità, mando tutto all’Assessorato». La maggioranza nega fratture: «Nessun corto circuito, è una scelta prudente».

Il risultato è un quadro surreale: un Consiglio incapace di aprire il primo punto del suo stesso ordine del giorno, un procedimento che tecnicamente per il segretario è già chiuso, un presidente che sceglie l’unica via che evita responsabilità interne, una Regione che dovrà prendersi carico di un caso che Trapani avrebbe potuto — e dovuto — gestire da sola.

E mentre si aspetta Palermo, un dato politico si impone sugli altri: la decadenza dei nove è diventata lo schermo perfetto per mettere in stand-by la vera partita, la sfiducia al sindaco, che ora scivola indietro, oltre le festività, oltre i tempi tecnici, oltre il dibattito pubblico.

Un logoramento lento, calcolato, evidente: qui non sta cadendo un Consiglio. Sta cadendo la capacità di decidere.