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16/12/2025 06:00:00

Natale ai checkpoint: la Natività nell’epoca dei muri, dei droni e dell’ipocrisia 

di Katia Regina

 

L'editto era chiaro: l'Imperatore Cesare Augusto aveva bisogno di sapere esattamente quanti sudditi aveva da spremere con le tasse, e l'unica maniera era un bel censimento burocratico. Era l'anno zero, ma l'ossessione per i dati e la residenza anagrafica era già un flagello.

 

Per Giuseppe e Maria, due ebrei osservanti e pii che vivevano nel rispetto della Legge, era un obbligo al quale adempiere, anche se faticoso. Così, Giuseppe, falegname di Nazareth, deve lasciare la sua bottega e sobbarcarsi un viaggio di circa 150 chilometri, dalla Galilea fino a Betlemme, "città di Davide", il luogo d'origine della sua famiglia. Accanto a lui, sua moglie Maria, una ragazza, con una gravidanza agli sgoccioli, a cavallo di un asino testardo.

 

Era un viaggio già duro duemila anni fa. Ma proviamo a immaginare quel tragitto oggi.

 

Giuseppe si ferma ad aggiornare il vecchio navigatore satellitare, lo stesso che l’anno scorso aveva mandato in crisi i poveri Asparo, Badassano e Miccione, più noti come Re Magi. Inserisce la destinazione: Betlemme, Cisgiordania. Il sistema, questa volta, non risponde "paese inesistente", aggiunge però un avviso: “Attenzione: Area A, sotto pieno controllo dell’Autorità Palestinese. Rischio elevato. Calcolo percorso alternativo: 12 ore di checkpoint e burocrazia”.

 

«Evitiamo la Samaria,» dice Giuseppe a Maria, accarezzandole il ventre. Già all'epoca non era aria. «Ho saputo che poco tempo fa, nella zona di Nablus, una anziana che raccoglieva le olive della sua terra è stata bastonata dai coloni. Prendiamo la via della Valle del Giordano, è più lunga, ma dicono sia meno pericolosa...»

 

Si incamminano. Dopo pochi chilometri, il primo intoppo. Non è un bandito, ma un luccicante checkpoint presidiato da giovani soldati stanchi e nervosi.

«Documenti!» intima un agente.

 

Giuseppe, in tono composto e rassegnato, spiega: «Dobbiamo andare a Betlemme per il censimento. Sono della casa di Davide, devo adempiere all'editto.»

 

L'agente si mette a ridere: «“Casa di Davide”? Bravo. E io sono Re Salomone. Ascolta un po' qui, nonno: questa è la Cisgiordania. Tu vieni dalla Galilea e potresti essere un terrorista di Hamas infiltrato, potenzialmente. E per entrare a Betlemme, Area A, ti serve un Permesso A48, ma a tua moglie, essendo incinta, serve il Permesso T.U.T.E.L.A. (Transito Urgente Territorio di Emergenza Limitata Assistenza). E per l'asino... credo un Visto H.O.V.A. (Handle Our Very Asses).»

 

Maria, provata dalle doglie che iniziano a farsi sentire, si stringe il mantello, cercando di non dare nell'occhio. Giuseppe cerca in una borsa le vecchie pergamene anagrafiche, ma il soldato gliele strappa di mano. «Non mi interessano i documenti di 2000 anni fa! Questo non è un pellegrinaggio, è un'area di sicurezza.» Dopo ore di interrogatori e l'ennesima tangente (un anello d'argento, cimelio di famiglia, l'unica cosa di valore rimasta) per ottenere i permessi temporanei, la coppia riesce a proseguire.

 

Ma lo scenario li sconvolge. Arrivano nella Giudea e Betlemme non è più l'antica cittadina che si aspettavano. È circondata da un'enorme barriera di cemento armato, alta otto metri. Il triste Muro di Separazione. E tutt'intorno, spuntano come funghi gli insediamenti israeliani, fortezze protette e aggressive, costruite su colline rubate a un paesaggio che un tempo era solo pietre e ulivi.

 

«Ma... non doveva essere la Terra Promessa?» sussurra Maria, ricordando le parole dei testi Sacri.

 

«La Terra Promessa,» mugugna Giuseppe, guardando le torri di guardia, «è evidentemente stata promessa a chi ha i carri armati.»

 

Finalmente, giungono a Betlemme, esausti. La città è in lutto, i pochi turisti natalizi sono spariti, le strade sono silenziose per la paura di un coprifuoco. Bussano all'albergo, ma l'albergatore scrolla le spalle: «Non c'è posto, c'è un coprifuoco non ufficiale. E poi, scusate, ma chi siete? Siete della famiglia di Davide? A me sembrate due profughi in cerca di un posto caldo. Andate pure nella stalla, non c'è posto per la vostra speranza qui.»

 

E così, in una grotta, tra l'odore di animali e l'oscurità del mondo, nasce il Re della Pace.

 

Nel silenzio di quella notte, invece del canto degli angeli, Giuseppe e Maria sentono solo il rumore lontano e ritmico degli spari e il ronzio dei droni di sorveglianza che illuminano il cielo a giorno. Il messaggio degli angeli era limpido, inequivocabile: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama." Eppure, duemila Natali non sono bastati. Proprio in quel fazzoletto di terra, culla della Promessa, la pace è sempre stata il peggiore dei profughi, costantemente cacciata via. La violenza non è un incidente storico; è, dolorosamente, la tradizione ininterrotta della Terra Santa.

 

L'assurdità raggiunge il culmine quando, al posto dei pastori e dei tre saggi, alla grotta arriva la scorta di nuovi Re Magi: i rappresentanti ufficiali dei governi occidentali, di quelle nazioni che si definiscono profondamente cristiane. Loro non si sono persi nei checkpoint; anzi, li hanno finanziati. Non portano i loro doni al Bambino nella stalla. Il loro percorso ha subito una deviazione strategica e i doni sono stati dirottati in Israele, il nuovo Re politico della regione. Il loro oro è stato trasformato in finanziamenti bellici con la clausola senza rendiconto morale; l'incenso si è mutato in sostegno politico incondizionato nei consessi internazionali, un fumo denso che copre ogni crimine; e la mirra, simbolo dell'estremo sacrificio, è diventata missili ad alta precisione forniti gratuitamente, capaci di garantire la sofferenza e la morte.

 

Tutti si inginocchiano davanti al presepe diplomatico, piangendo lacrime di circostanza per la povertà del Cristo, e gli sussurrano: "Gesù Bambino, porta la pace in questo mondo. Noi, nel frattempo, Ti aiutiamo a velocizzare la cosa, dotando coloro che controllano la Tua Terra e combattono il male di strumenti più efficaci per sconfiggerlo, in modo che Tu possa crescere in un luogo sicuro." E quel Bambino, nato tra le macerie, con gli occhi pieni di polvere e la consapevolezza del profugo, può solo piangere. Piangere per la sua Terra e per la sua Gente, ma soprattutto piangere per l'ipocrisia disarmante di un Occidente che ogni Natale recita il Vangelo ma, per il resto dell'anno, vende la guerra. Non ci resta che pregare che Giuseppe, Maria e il Bambino riescano almeno a fuggire in Egitto senza essere bloccati al valico di Rafah.

 

Buon Natale a tutti, o quasi.

 

E mi raccomando, per Natale, regalate libri.