Addio a Lorenzo Reina, figura di culto dell'arte siciliana di oggi
È morto Lorenzo Reina, aveva 65 anni. Con lui se ne va una delle figure più singolari, radicali e poetiche dell’arte siciliana contemporanea. Pastore per scelta e scultore per vocazione, Reina è stato soprattutto l’uomo che ha trasformato una montagna di Santo Stefano Quisquina, nell’Agrigentino, in un’opera d’arte assoluta: il Teatro Andromeda, uno spazio sospeso tra cielo e terra, tra astronomia e mito, tra fatica contadina e visione cosmica.
Reina non veniva dal sistema dell’arte, non lo cercava e non lo corteggiava. Veniva dalla campagna, dal gregge affidatogli dal padre, dal silenzio delle alture sicane. E proprio lì, a quasi mille metri d’altezza, ha costruito pietra su pietra un teatro che riproduce fedelmente la costellazione di Andromeda: 108 blocchi di pietra bianca disposti come stelle, un palcoscenico aperto sull’infinito, arcate che incorniciano il cielo, il mare lontano e le stagioni che scorrono.
Un teatro che non nasce per intrattenere, ma per interrogare. Il tempo, lo spazio, il rapporto tra l’uomo e l’universo. Un luogo che negli anni è diventato meta di artisti, studiosi, viaggiatori, architetti, filosofi. Un’opera che ha attirato l’attenzione internazionale, fino ad approdare anche alla Biennale di Venezia, senza mai perdere il suo radicamento originario: la pietra, la terra, il vento.
Lorenzo Reina era un artista anomalo, irriducibile a categorie. Pascolava le sue pecore e scolpiva. Raccoglieva legnetti, ciottoli, frammenti di pietra e li trasformava in segni, sculture, visioni. Viveva come un pastore, pensava come un poeta, costruiva come un architetto primordiale. Il suo Teatro non è solo un’opera d’arte: è un gesto filosofico, una dichiarazione di indipendenza dall’idea di progresso come consumo, velocità, rumore.
A ricordarlo è anche Vittorio Sgarbi, che lo aveva incontrato più volte proprio tra le pietre di Andromeda:
«Lorenzo Reina era una intelligenza vivida e fervida. Ci eravamo incontrati l’ultima volta nell’agosto del 2023, tra le pietre del Teatro Andromeda, e mi aveva raccontato nuovi progetti, nuove sfide, con l’entusiasmo che lo caratterizzava. Reina ha compreso, prima di molti altri, il valore del Paesaggio. E ha saputo unire la poesia con la terra. La sua terra, la Sicilia. Il suo lascito più importante non è il Teatro Andromeda, ma il messaggio che si porta dietro: il coraggio di osare. Addio vecchio amico».
Ed è forse proprio questo il punto. Il lascito di Lorenzo Reina non è solo un luogo straordinario, ma un’idea ostinata e controcorrente di arte: fare, costruire, restare. Dimostrare che anche ai margini, lontano dai centri di potere culturale, può nascere qualcosa di universale. Che si può essere pastori e artisti, contadini e visionari. Che la bellezza non ha bisogno di palazzi, ma di tempo, silenzio e coraggio.
Oggi il Teatro Andromeda resta lì, immobile e vivo, come una costellazione caduta sulla terra. Lorenzo Reina non c’è più, ma la sua opera continua a interrogare il cielo. E noi, guardandola, a interrogarci su cosa significhi davvero creare.
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