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28/12/2025 09:37:00

Antigone oggi: riscrivere la tragedia nell’epoca dell’indifferenza

 A più di duemila anni dalla sua prima rappresentazione, l’Antigone di Sofocle continua a interrogare il presente. Lo fa anche attraverso “Antigones – L’ultimo giorno di infelicità”, primo studio della riscrittura contemporanea firmata e diretta da Rosario Palazzolo, andata in scena in prima assoluta al Teatro Biondo di Palermo, nella Sala Strehler, con Simona Malato, Anton Giulio Pandolfo e Manuela Tuzzolino.

 

La tragedia classica, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 442 a.C., metteva al centro uno dei conflitti fondativi della civiltà occidentale: la legge dello Stato contro la legge morale, il potere contro la coscienza individuale. Antigone sfidava l’editto di Creonte per dare sepoltura al fratello Polinice, pagando con la vita la propria disobbedienza. Una vicenda antica che, nella riscrittura di Palazzolo, viene trasportata con lucidità e inquietante coerenza nel nostro tempo.

 

Una Antigone che riscrive se stessa

 

Qui Antigone, interpretata dalla giovanissima e bravissima Manuela Tuzzolino, non è più soltanto l’eroina tragica condannata a morire, ma una giovane donna chiusa in una caverna, un antro che diventa spazio mentale e simbolico. È il luogo della memoria, della parola, della scrittura. Ed è proprio attraverso la parola che Antigone esercita un potere nuovo: quello di riscrivere la propria storia.

Stanca delle infinite narrazioni costruite su di lei, Antigone sceglie di raccontarsi in prima persona. Rovista tra fogli, testi, riscritture precedenti, e decide chi far entrare nella sua caverna: il pubblico per primo, chiamato a osservare e ascoltare, ma soprattutto a incarnare una società contemporanea silenziosa, immobile, incapace di prendere posizione.

 

 

Il potere che teme la parola

 

Accanto a lei tornano i personaggi della tragedia sofoclea. Ismene, la sorella, è presente solo come voce: vive nelle parole scritte da Antigone e rappresenta la donna che obbedisce, che accetta la legge degli uomini, che rinuncia alla ribellione. Creonte, rappresentato dalla sorprendente Simona Malato, invece, è il cuore del conflitto: tiranno moderno, simbolo di un potere che si auto-legittima e che considera la parola individuale un pericolo.

In questa riscrittura, Creonte non è soltanto il sovrano che difende l’ordine, ma la negazione della democrazia, della giustizia e dell’etica. Per lui la legge non può essere messa in discussione, anche quando è ingiusta. Meglio la morte di Antigone che il rischio di un disordine sociale. Meglio il silenzio che il dissenso.

 

Padre e sovrano: una frattura impossibile

 

A tentare una mediazione è Emone, figlio di Creonte e amante di Antigone, incarnato dal poliedrico Anton Giulio Pandolfo. Cerca di parlare al padre, di separare l’uomo dal sovrano, l’amore dal potere. Ma Creonte rifiuta ogni distinzione: padre e re coincidono, e la legge viene prima della vita. È in questo cortocircuito che si consuma la tragedia, antica e contemporanea allo stesso tempo.

 

Un finale che interroga il presente

 

Ma Palazzolo sceglie di andare oltre Sofocle. Antigone, che in teoria dovrebbe morire, riscrive ancora una volta la storia. Creonte si redime, chiede alla giovane di non morire e la aiuta a uscire dalla caverna. La lava, la veste, la accompagna verso il mondo reale.

È qui che lo spettacolo colpisce più a fondo. Antigone immagina il mondo come un luogo di pace, amore, giustizia, abbracci. Ma una volta uscita, si scontra con una realtà diversa: indifferenza, silenzio, immobilità. Nessun gesto, nessuna accoglienza. La società — quel pubblico che ha osservato senza intervenire — resta ferma.

E allora Antigone compie l’ultimo gesto politico: fa un passo indietro e torna nel suo antro. Non perché sconfitta, ma perché il mondo non è pronto ad ascoltarla.

 

Una tragedia necessaria

 

In scena, pochi elementi: tre attori, una penna, fogli sparsi, un microfono sospeso. La caverna è un cerchio di luce, metafora della ciclicità della storia, di un tempo che si ripete, di un movimento senza angoli in cui fermarsi a riflettere.. Fondamentale il ruolo della musica, che accompagna Antigone come una carezza, come una forma alternativa di espressione.

 

“Antigones – L’ultimo giorno di infelicità” è uno spettacolo che parla apertamente al presente: alle guerre in corso, ai popoli che seguono il potere senza ribellarsi, a una società che preferisce l’apatia alla responsabilità. Antigone diventa così l’individuo che si oppone, l’eccezione che mette in crisi il sistema, mentre il coro — oggi come ieri — resta in silenzio.

Forse è proprio questo il fascino eterno di Antigone: la sua capacità di parlare a ogni epoca, ricordandoci che la vera tragedia non è la ribellione, ma l’indifferenza.

 

Eppure, alla fine dello spettacolo, qualcosa si muove. Un lunghissimo applauso da parte del pubblico accompagna la chiusura del sipario. 


Resta allora una domanda inevitabile, sospesa oltre il teatro: l’applauso basta a rompere l’ingiustizia o, una volta usciti, il silenzio riprende il suo posto?