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17/08/2015 19:30:00

Allattamento al seno

 

Allattare al seno è un gesto naturale. Fin dall’inizio del mondo, attraverso il proprio latte le madri danno ai piccoli protezione e nutrimento. Tutte le donne, durante la gravidanza, vanno incontro ad alcuni cambiamenti ormonali che danno inizio naturalmente alla produzione di latte. Questo processo è biologicamente così perfetto che il latte è pronto, nella quantità e con la qualità adatta, proprio quando il bambino nasce. Il colostro dei primi giorni è un concentrato di fattori protettivi e risponde pienamente alle esigenze nutritive del neonato, poche ma specifiche. Nei giorni, nei mesi e negli anni seguenti, il latte materno si adatterà ai bisogni del bambino che cresce, cambiando con la sua età, con il clima e le stagioni, con il suo stato di salute e con quello della madre. Sarà sempre il prodotto unico e specifico di quella mamma per quel bambino: per gli altri figli la stessa madre produrrà sempre un latte perfettamente digeribile ed assimilabile, ma diverso in quantità e qualità. Dopo il parto, allattare il proprio figlio è un normale processo fisiologico. Ma non solo: la mamma allatta il proprio bambino anche perché vuole creare con lui un legame speciale, stabilire un vincolo affettivo che sarà importante per tutta la vita.

 

Allattare è naturale, esattamente come respirare, masticare, camminare, ridere e sognare. Al centro dell’allattamento, conseguenza appunto di un evento biologico, c’è la madre col suo bambino: è lei a prendere le decisioni e a metterle in pratica. È importante che la madre non deleghi questo suo potere a nessuno, né permetta che le sia tolto o ridotto dall’ospedale, dal pediatra né dai nonni, per quanto volenterosi. Tutti coloro che circondano la madre possono aiutarla, ognuno con le proprie capacità, ma la loro funzione è quella di offrirle sostegno, non di sostituirsi a lei. E in tutto ciò il ruolo più importante è quello giocato dal padre. Se ben sostenuta, la madre acquisirà o rafforzerà la fiducia in se stessa e nella propria competenza materna, e allatterà come e quanto desidera. Si troverà assieme a molte altre madri nella sua stessa situazione, cercherà alleate (e alleati) per poter condividere un’esperienza e non sentirsi isolata. Cercherà aiuto per creare un ambiente, familiare e sociale, che la sostenga nel prendere decisioni informate e a metterle in pratica, realizzando la sua funzione biologica e nel contempo mantenendo e migliorando la sua posizione sociale.

 

L’aiuto iniziale proviene dagli operatori sanitari del punto nascita, dove le donne scelgono di partorire e decidono solitamente (ma non sempre) di seguire il corso di accompagnamento alla nascita. La prima cosa che il personale, appositamente formato, dovrebbe fare subito dopo il parto è permettere a mamma e neonato di prendere confidenza l’uno con l’altra, guardarsi e toccarsi. Se il neonato sta bene ed è nato a termine, non deve essere allontanato dalla madre, ma appoggiato sul suo petto, pelle a pelle, dopo essere stato asciugato. Non prenderà freddo, se gli si coprono la testa e le spalle. Questo contatto, possibile sia dopo un parto naturale e senza interventi farmacologici sia dopo un parto pilotato o cesareo, favorisce la conoscenza reciproca e l’avvio dell’allattamento al seno. Mentre entro all’incirca un’ora da un parto naturale i capezzoli sporgono automaticamente e le mammelle rilasciano piccole ma sicure quantità di colostro, dopo un parto cesareo o un travaglio particolarmente complesso, a volte occorre più tempo e un po’ di pazienza. Non c’è fretta: la madre può restare con il bambino sul petto, pelle a pelle, tutto il tempo che vuole. Dopo una breve visita medica, può iniziare il rooming in: mamma e neonato sempre assieme nella stessa stanza. In questo modo, il bambino piange meno perché poppa tutte le volte che vuole, e allo stesso tempo stimola l’arrivo del latte in 2a-3a giornata (3a-4a dopo un cesareo). Se il neonato non succhia con efficacia, o non può per ragioni gravi stare con la mamma, il personale può aiutare la madre a spremere il latte dal seno manualmente.

 

Il latte può essere dato al piccolo con un cucchiaino o una siringa priva di ago, per evitare di abituarlo alla tettarella di un biberon. Il Ministero della Salute si sta impegnando perché queste pratiche si diffondano in tutti i punti nascita. É tutta questione di sostegno: le mamme devono chiederlo senza esitare. Una volta a casa, si possono delegare le faccende domestiche ai familiari, mentre mamma e neonato si conoscono e imparano a stare assieme: l’allattamento è come una danza in cui all’inizio, talvolta, ci si pesta i piedi, ma poi si diventa così bravi da volteggiare insieme. E ci si riesce tanto prima quanto prima ci si lascia “guidare” dal bambino. Il segreto è non guardare l’orologio né l’ago della bilancia, ma il bambino e i suoi segnali di volersi attaccare al seno. Lo farà nei primi tempi circa 8-12 volte nelle 24 ore, di giorno e di notte. Più succhia e più latte si produce. Le poppate notturne sono importanti e utili, perché impediscono al seno di ingorgarsi fastidiosamente e danno al piccolo una buona porzione del suo fabbisogno complessivo di latte. All’inizio può essere faticoso ma in genere anche il ritmo sonno-veglia della mamma si adegua velocemente a quello del bimbo: la mamma impara a dormire quando il bambino dorme e a svegliarsi quando lui si sveglia. Dopo qualche settimana, molti neonati chiedono alla madre di poppare con maggiore frequenza perché hanno bisogno di crescere più in fretta. Non è la mamma che non ha latte, o ne ha poco, è il bambino che ne richiede di più e l’unico modo per averne è stimolare il seno materno. Bastano in generale due o tre giorni di poppate più ravvicinate perché il corpo materno recepisca l’informazione e aumenti la produzione di latte. Al contrario, quando il bambino più grande prenderà meno latte dal seno, la produzione di latte gradualmente diminuirà, con lo stesso meccanismo naturale.

 

Nel corso del primo anno il bambino ha una velocità di crescita che non avrà mai più nella vita: il suo fabbisogno nutrizionale cambia con frequenza, mamma e papà devono comprenderlo e accompagnarlo. L’uso di succhiotti o tisane impedisce di capire se il bambino ha bisogno del seno per mangiare o per conforto, e rende più difficile “calibrare” la produzione di latte sui bisogni del bambino. Il succhiotto va evitato almeno nelle prime sei settimane per prevenire problemi con la produzione di latte e la suzione. Se le cose non sembrano funzionare come previsto, ci sono molti rimedi prima di ricorrere al latte formulato.
Occorre ricordare che:
• le ragadi non compaiono se il bambino si attacca correttamente al seno, e guariscono quando si correggono posizione o attacco;
• gli ingorghi passano se il bambino poppa a richiesta e senza aggiunte;
• i pianti e le cosiddette coliche si attenuano se lo si prende in braccio;
• il poco latte aumenta se si allatta più spesso o se si spreme il seno a mano o con un tiralatte.
Spesso le neomamme si sentono insicure sul da farsi, pensano di non fare tutto alla perfezione, o persino di voler smettere: l’allattamento è un processo in cui s’impara attraverso prove ed errori. Anche in questo caso, non bisogna esitare a chiedere un aiuto competente. Allattare al seno in modo esclusivo aiuta persino a riprendere il lavoro.

 

Anche se i maggiori benefici per madre e bambino si hanno quando l’allattamento esclusivo è condotto per sei mesi, continuando fino a quando lo si desidera dopo l’aggiunta di cibi solidi, talvolta è necessario rientrare al lavoro uno o due mesi prima. Poiché il seno si è nel frattempo tarato sulle esigenze del bambino, ci sarà latte a sufficienza per poterlo mettere in un contenitore e farlo somministrare a una nonna, a una tata o all’educatrice del nido, fino a quando alcune poppate saranno sostituite da altri cibi. Il bambino si accorgerà del cambiamento: potrebbe chiedere di poppare poco prima della separazione dalla mamma, o appena questa torna dal lavoro, oppure potrebbe rifarsi del tempo perduto nelle ore notturne. In questo modo non solo stimolerà la produzione di latte, ma riconquisterà un po’ della relazione intima con la madre. Le decisioni spettano tutte alla mamma e al suo bambino. Il latte della mamma non è solo cibo, è anche e soprattutto relazione. Così la prima relazione, naturalmente, è fra la madre e il figlio. I lattanti che stanno a stretto contatto con la madre, come succede tuttora in molti paesi del mondo, piangono meno, crescono più sicuri e corrono minor rischio di abbandono e di maltrattamento.

 

L’allattamento favorisce questa vicinanza, che però è possibile (ed è consigliabile) anche per quelle mamme che non vogliono o non possono allattare. La prossimità con la madre è importante soprattutto di notte perché stare vicini durante le ore notturne favorisce sia la relazione sia l’allattamento. La vicinanza permette alla madre, soprattutto se porta il bimbo in una fascia o in un marsupio, di fare una vita normale, di uscire, passeggiare, fare la spesa, andare a cinema e a teatro, di godersi una serata in pizzeria. Sarà facile, alla richiesta del bambino, offrirgli il seno: allattare ovunque ci si trovi non è solo una comodità, è soprattutto un diritto. All’inizio tutto questo può sembrare difficile, soprattutto con il primo figlio. Anche le mamme più efficienti possono sentirsi smarrite, ma quando sarà il momento di guardare indietro si capirà che si è trattato solo di un attimo della propria vita. Ma bisogna sfruttarlo, quest’attimo prezioso che è alla base delle relazioni future. Il bambino chiede seguendo il suo stimolo alla fame e il suo bisogno di contatto, la mamma ascolta, interpreta e risponde. Altre volte può essere la mamma che si propone in modo attivo al bambino, soprattutto se le sembra che sia pigro e assonnato, specie nei primi giorni di vita. La teoria dei neuroni “specchio” ci dice che l’essere umano è programmato fin da piccolo per osservare l’altro, per apprendere comportamenti ed emozioni e farli propri.

 

Quando mamma e bambino si chiamano e si rispondono, imparano l’una dall’altro. Per esempio, quando la mamma ritiene che il bimbo debba aprire di più la bocca, così da prendere una buona parte dell’areola al di là del capezzolo, per assumere più latte e non procurarle dolore al seno, può insegnarglielo dicendo, al momento dell’attacco, “apri bene la bocca”, mostrandogliela ben aperta e avvicinandolo a sé solo quando l’apertura della bocca del bambino le sembrerà sufficientemente ampia. Il bambino probabilmente la imiterà ed imparerà ad aprire la bocca. A volte può succedere che alcuni messaggi del bambino non siano chiari, o possono esserci altre difficoltà che influiscono sull’allattamento e sulla crescita. La prima a soffrirne è proprio la mamma, che pensa di non riuscire a fare il “meglio” per suo figlio. Il padre avrà la possibilità di condividere momenti di vita diversi dall’allattamento, ma non ne è affatto escluso. Anzi è bello che sia presente mentre la mamma allatta il figlio al seno. I due iniziano a conoscersi prima del parto: il feto distingue la voce del padre da quella della madre, e sa riconoscere il tocco sulla parete dell’utero. Questa conoscenza si approfondisce dopo la nascita e il padre può usare gli stessi strumenti di contatto della madre (pelle, occhi, voce, udito, odorato) per relazionarsi col figlio, ed è bene che lo faccia in tutti i momenti in cui ciò è possibile, iniziando dai primi giorni e dalle prime notti.

 

Ruolo fondamentale del padre, infatti, è insegnare che amore e benessere non sono unicamente associati con l’atto del poppare. Coccolare il bambino, giocarci, farlo passeggiare, cambiarlo, cullarlo, fargli il bagno e dargli la pappa - dopo il sesto mese -, occuparsi dei figli più grandicelli, permette alla madre di riservarsi del tempo libero e per riposare. Il riposo della madre insieme al neonato è importante specialmente nei primi giorni del rientro a casa dall’ospedale. La madre allatta meglio se sa che c’è un padre che si prende cura del figlio e della casa. La nascita segna un evento critico nel sistema familiare che comporta una transizione e la rielaborazione di nuovi equilibri e stimola la ricerca di nuove soluzioni. Il bambino cresce e mostra di aver bisogno di allargare la rete delle sue relazioni, se necessario anche piangendo. Mano a mano che acquisisce altre abilità - sorridere e fare smorfie, gattonare e spostarsi da solo, pronunciare le prime sillabe e poi le prime parole -, farà capire sempre meglio i suoi bisogni. Fra questi emerge, verso la fine del sesto mese, il bisogno di cibo solido da assumere in aggiunta al latte materno. Il cibo, scelto fra gli alimenti più sani e con maggiore valore nutritivo fra quelli comunemente consumati in famiglia, dovrà essere opportunamente preparato e adattato alle competenze neuromuscolari che il bambino acquisisce sviluppandosi. Stando a tavola il bambino avrà occasione di imparare gli odori, i colori, la consistenza e il sapore dei cibi di famiglia, che in realtà aveva già assaporato con il latte materno, ma anche di apprezzare la compagnia del papà, dei fratelli, dei nonni e di altre persone. E i genitori “crescono” se offrono il cibo con sensibilità e rispettano il senso di sazietà e i gusti del piccolo. Il latte materno continua a essere parte integrante dell’alimentazione fino a due anni di età e anche oltre, se lo si desidera.

 

In alcuni paesi del mondo, dalla Norvegia al Senegal, questa è la norma. I bambini più grandi che vedono la propria madre allattare al seno vivono un’altra magnifica occasione di crescita: prima di tutto perché, aggiungendo l’allattamento al loro bagaglio di esperienze, riprodurranno da adulti le dinamiche che hanno osservato, sia come padri che come madri; in secondo luogo, poi, perché imparano a condividere l’affetto e le attenzioni della mamma con qualcun altro. L’allattamento offre anche alla madre un aiuto a educare i figli. Sin da piccoli, infatti, i bambini imparano a mediare il soddisfacimento del bisogno, mostrando prima i segnali di fame, aspettando poi la calata del latte e infine ottenendo la poppata. Commenti come “Non hai latte a sufficienza”, “Non riuscirai più a staccarlo”, “Lo stai viziando”, “Non diventerà mai indipendente” sono frutto di una cultura basata sulla separazione, che ignora gli aspetti antropologici e psicobiologici che possono esprimersi unicamente nella coppia madre-bambino durante l’allattamento. Frasi del genere contribuiscono inoltre a mettere in dubbio le competenze della mamma, diminuendone l’autostima. E’ meglio lasciare alla mamma e al suo bambino la gestione di queste decisioni così importanti per la loro vita. E’ meglio contribuire a costruire una buona relazione. E’ meglio crescere assieme.

 

Dott. Angelo Tummarello
Pediatra di famiglia
Consigliere regionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Ricercatore e divulgatore scientifico
Marsala
Cell.360409851
Email: dott.a_tummarello@libero.it