Caro Direttore di Tp24 (già Marsala.it),
mi viene spontaneo rivolgere proprio a te queste mie righe deliberatamente spogliate da qualsiasi autoreferenziale animus di comunicato-stampa, ma contenenti una (pur non richiesta) esternazione di mie sensazioni. E a ciò vengo indotto dal constatare come ogni giorno la tua testata voglia caratterizzarsi, oltre che da puntuale trasmittente di notizie relative a fatti che accadono, anche quale portavoce di umori diffusi nella comunità cittadina.
Senza più nascondere o cercare eufemismi per la situazione marsalese, viviamo tempi di evidente malessere, di sconcertante disagio, di inaudito sconforto. E a nulla giovano le bandiere blu delle spiagge di paesi vicini, né la purezza dell’aria che beneficia di ventosità costante. Marsala sta toccando il punto più basso della sua altrimenti gloriosa storia. Al tradizionale senso civico è subentrata una deprimente assuefazione al degrado: quello delle erbacce e dei sacchetti neri impunemente lasciati a corredo di marciapiedi sbrindellati, quello delle voragini nell’asfalto di arterie mai manutenute e dai tombini emergenti. Ma anche quello di una litigiosità senza precedenti che ha tutto il sapore di una guerra fra poveri, di un abbrutimento nel linguaggio e nelle abitudini quotidiane, di un conflitto (ormai non più latente) fra sazi e affamati, fra “congreghe” e battitori liberi, fra disperati e…”moderati”, fra centro e periferie, fra stipendiati e “neneisti”, fra città e campagne, fra normodotati e disabili.
Sento, perciò, essere arrivato un momento in cui, anziché esibirmi in ricette o lanciare discrediti sugli “altri”, comincio a pormi domande che nulla più hanno a che fare con le sole speranze della giovinezza. Bensì con le possibilità: quelle dell’età matura, quelle che tengono conto di esperienze e disillusioni, dei limiti conosciuti e delle occasioni perdute. Ma anche, con le opportunità che derivano da tutto il bagaglio di relazioni umane, di intese e di superamento di malintesi, di rabbie fatte diventare ragioni, di obiettivi trascurati ma recuperabili, di energie intatte ed ancora spendibili. Di sentimenti non degenerati in sentimentalismi.
E mi chiedo cosa posso e possiamo fare: non tanto o non più per noi stessi o per garantire più benessere ai nostri cari, ma soprattutto per i figli dei meno fortunati; non per divertirci con i nostri amici, ma per incidere sul corso delle cose, per dare un senso all’uso delle nostre capacità e attitudini, per dirigere l’intelligenza e la fatica quotidiana verso il miglioramento della città in cui viviamo. E per aiutare quelli che ci vivono male.
Ecco, io credo che per me e per molti di noi – malgrado certi dichiarati ed inaccettabili “disgusti” - è arrivato proprio il momento di rinunciare al quieto vivere e mettersi in gioco, di accantonare i freni e pigiare sull’acceleratore.
Se anche “la stoffa dell’eroe” non è in vendita nelle mercerie, sono certo che avvertiamo il bisogno e il dovere di fare qualcosa per cambiare la nostra città: la dimensione più vicina su cui abbiamo il diritto di influire, quella più alla nostra portata.
E, in tanto ci riusciremo, in quanto – senza assegnare pagelle o distribuire patenti – “scenderanno in campo” tutti i marsalesi di buona volontà, reimpossessandosi della partita e puntando a vincere (so come si fa) un “campionato” finora tristemente e mediocremente lasciato giocare ai cosiddetti “addetti ai lavori”…
Diego Maggio