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20/09/2019 06:00:00

L'ultima lettera di Messina Denaro a Vaccarino, tutte le parole del boss "tradito"

 Per la prima volta Matteo Messina Denaro parla di mafia e di mafiosi; della differenza tra “i buoni” e “i più  forti”.

Parla di un mentitore spregiudicato e dell’omicidio Lipari.

E lo fa in una lettera rimasta sconosciuta all’opinione pubblica per 12 anni, che oggi pubblichiamo interamente.

 

Si tratta dell’ultima lettera del boss inviata all’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino il 15 novembre 2007.

In tutto questo tempo si è sempre creduto che il boss, dopo aver appreso che Svetonio (il nuovo nome che  Messina Denaro aveva dato a Vaccarino nel noto carteggio di pizzini tra il 2004 e il 2006) lavorava con i servizi segreti per catturarlo, gli avesse mandato una breve nota con un testo lapidario: “...Ha buttato la sua famiglia in un inferno... la sua illustre persona fa già parte del mio testamento... in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti.”

 

Ma in quella lettera c’è molto di più.

Il misterioso scrivano che elaborava i suoi pensieri su commissione (almeno secondo l’ipotesi di uno psicologo della polizia) rende bene lo stupore e l’incredulità del boss anche attraverso il punto interrogativo ed il punto esclamativo usati insieme:

Lei così timorato di Dio, alla fine la parte che più ha appreso è quella dell’iscariota?!”.

Inoltre i 30 denari del tradimento di Giuda, qui si trasformano in euro, forse nella convinzione di essere più incisivo e meno anacronistico:  

Lei è e resterà per sempre un ‘29 euro’, non dico ‘30’ perché non sono Gesù Cristo – scrive Messina Denaro, sottolineando il tradimento dell’ormai ex Svetonio - quindi lei viene deprezzato anche nei confronti di Giuda, altro che uomo illustre”.

 

Il boss accusa Vaccarino di essere un colluso, anche se non mafioso, uno che “usava la mafia per i propri scopi e la mafia usava lei per i suoi di scopi”.

Però la parte più contraddittoria è quella relativa alla condanna che Vaccarino ha ricevuto in passato, considerata da Matteo Messina Denaro “una delle pagine più ingiuste della giustizia italiana, poiché si basava sul mendacio di un volgare e spregiudicato mentitore” (il riferimento al controverso pentito Vincenzo Calcara è evidente, ndr), in rapporto all’accusa che invece il boss muove allo stesso Vaccarino:

Le ricordo, nel caso so avesse scordato, stante l’apparente crisi mistica che lo ha colpito, che lei è il mandante dell’assassinio del sindaco Vito Lipari (ucciso il 13 agosto 1980, ndr), è stato lei che lo ha voluto morto a tutti i costi ed a decretarne la morte”.

Omicidio che, secondo il latitante, non avrebbe quindi avuto una matrice mafiosa, ma sarebbe nato dall’ambizione di Vaccarino alla carriera di sindaco.

 

Poi, alla fine di questa lunga lettera, Messina Denaro pone due domande.  La prima è “Perché?” e l’altra “Ed ora che facciamo?”.

Alla prima dovrebbe rispondermi lei – scrive il boss - ma essendo soggetto ad attacchi di viltà, del tutto privo di onore e che viola ripetutamente tutte le regole, scritte e non, del comportamento di un vero uomo, non lo farà”.

Alla seconda – conclude invece - sarò io a farle pervenire la mia risposta”. E precisa che “Non ha neanche da sperare in una mia prematura scomparsa o nel mio arresto, perché qualora accadesse una di queste ipotesi, per lei nulla cambierebbe, in quanto la sua illustre persona fa già parte del mio testamento, ed in mia mancanza verrà sempre qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti, comunque vada lei o chi per lei pagherà questa cambiale che ha forsennatamente firmato. Lei è un essere snaturato che non ha voluto bene neanche alla sua famiglia, si vergogni di esistere”.

 

Da questi scritti collerici, emerge una mafia più debole:

La frase “…Lei da sempre era in affari con i mafiosi, d’altronde allora erano i più forti” fa dedurre che già nel 2007 il boss castelvetranese percepisse una Cosa nostra meno forte. D’altra parte la lettera è stata scritta poco più di una settimana dopo gli arresti dei Lo Piccolo, avvenuti a circa un anno di distanza da quello di Bernardo Provenzano.

 

Intanto il processo di revisione della condanna per droga nei confronti di Vaccarino (1997) è ormai alle battute conclusive e la sua assoluzione è stata chiesta perfino dalla stessa procura.

 

Rimangono tante domande. Non ultima perché questa lettera del capo di Cosa nostra trapanese sia rimasta nei cassetti per 12 anni, in favore di un brevissimo estratto.

E’ un altro mistero di questa complicata ricerca dell’ultimo latitante di mafia.

Una caccia che sembra non avere mai fine.

 

Egidio Morici