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23/01/2022 06:00:00

I punti che restano oscuri dell'omicidio del maresciallo Mirarchi a Marsala

 L'ergastolo è definitivo. Ma ci sono ancora tanti aspetti irrisolti sull'omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi a Marsala.


Con la pronuncia della prima sezione della Corte di Cassazione, che ha confermato l’ergastolo per il 50enne bracciante-vivaista marsalese Nicolò Girgenti, unico imputato per l’omicidio (in concorso con ignoti) del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi, si chiude la pagina processuale per una vicenda che ha ancora tanti punti oscuri. A terra furono trovati i bossoli di due pistole. Chi impugnava l’altra arma? Mirarchi fu ferito a morte con un colpo di pistola la sera del 31 maggio 2016 nelle campagne di contrada Ventrischi, a Marsala. Quella sera, l’allora vice comandante della stazione di Ciavolo era impegnato con un altro carabiniere, l’appuntato Antonello Massimo Cammarata, in un appostamento nei pressi di una serra all’interno della quale furono, poi, scoperte 6 mila piante di canapa afgana. Ad uccidere il sottufficiale fu un proiettile sparato da una semiautomatica Star, modello Bs calibro 9x19, ma sul luogo vennero trovati anche i bossoli di un’altra arma. Per questo, gli investigatori presumono che a sparare furono in due. Sette i colpi esplosi contro i due militari. Cammarata ne uscì illeso. Mirarchi è morto qualche ora dopo.

 

 


A Marsala tornò la paura dei giorni bui della guerra di mafia dei primi anni 90. Si è temuto che la città fosse diventata un far west dominato da clan che avevano fiutato l'affare delle coltivazioni estensive di marijuana.
Il colpo emotivo fu forte in città per l'uccisione di un maresciallo, di un uomo in divisa, colpito a morte mentre era in servizio. I funerali di stato catturarono l'attenzione della stampa nazionale. Non si poteva tergiversare, non si potevano commettere errori. Bisognava prendere subito chi aveva ucciso Silvio Mirarchi.

 

 

Le indagini sin da subito hanno preso una direzione ben chiara. E non ci volle molto per arrivare a colui che adesso dovrà scontare il carcere a vita.
Girgenti fu arrestato dai carabinieri il 22 giugno 2016, meno di un mese dopo l'omicidio. Dopo l’agguato, si indagò su un gruppo di persone che gravitava intorno alla gestione della serra poi sequestrata. E saltò fuori il nome di Girgenti, che la gestiva fino ad alcuni mesi prima. Il bracciante fu sottoposto allo stub, che fu analizzato dai Ris di Messina, che rilevarono un’alta percentuale di sostanze come nichel e rame.

 

 

Per l'accusa non c'erano dubbi, Girgenti quella notte era lì e ha sparato. Secondo l’accusa, la sera del 31 maggio 2016, all’arrivo del maresciallo Mirarchi e dell’appuntato Cammarata, Nicolò Girgenti, insieme a qualche altro complice, stava rubando piante di marijuana dalla serra che aveva gestito fino a circa tre mesi prima e vistisi scoperti, Girgenti e il complice non esitarono a far fuoco contro i due carabinieri.


Secondo la difesa, però, quelle sostanze non sarebbero riconducibili a polvere da sparo, ma ai fertilizzanti utilizzati da Girgenti nelle sue attività agricole. Una tesi che non ha retto nei vari gradi di giudizio. A difendere Girgenti è stata l’avvocato Genny Pisciotta. Compito che per dieci mesi, dopo l’arresto, era stato svolto da Vincenzo Forti, che poi ha rinunciato all’incarico per divergenze con il suo cliente. Nel processo, i familiari del maresciallo Mirarchi si sono costituiti parte civile. Ad assisterli è stato l’avvocato Giacomo Frazzitta.
Ma come detto, anche se il processo a Girgenti è arrivato a conclusione, manca un pezzo di questa storia. Manca, secondo quanto è emerso in questi anni, ancora qualcuno da assicurare alla giustizia. Un complice, qualcuno che quella sera si sarebbe trovato con Girgenti a fare fuoco ed uccidere il maresciallo.