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30/05/2025 11:40:00

Mafia, processo "Scialandro": la macelleria - ufficio di Bonanno 

Una macelleria nel cuore di Trapani trasformata in ufficio operativo della mafia. Permessi premio concessi a un ergastolano che approfitta delle uscite dal carcere per riorganizzare una “famiglia” criminale rimasta senza capi. E imprenditori che, per risolvere problemi, non si rivolgono allo Stato, ma al boss. È lo spaccato inquietante emerso ieri in aula, durante la nuova udienza del processo “Scialandro”, celebrato davanti al Tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Daniela Troja.

A riferire i dettagli dell’inchiesta è stato il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, investigatore di punta fino a poco tempo fa del Reparto Operativo dell’Arma, che ha condotto le indagini assieme alla Polizia e alla DIA.

Al centro dell’inchiesta c’è Pietro Armando Bonanno (qui un approfondimento di Tp24) classe 1959, figura storica di Cosa nostra trapanese, condannato all’ergastolo per l’omicidio del partannese Pietro Ingoglia, e con una lunga carriera mafiosa alle spalle. Bonanno aveva militato prima nella cosca dei Minore, poi si era messo al servizio di Vincenzo Virga, l'uomo voluto da Totò Riina per guidare la mafia trapanese dopo la “posata” imposta ai vecchi capi negli anni Ottanta.

Eppure, nonostante l’ergastolo, Bonanno ha usufruito – come molti altri condannati per mafia – di permessi premio per buona condotta. E proprio durante queste uscite dal carcere, avrebbe ripreso in mano le redini del mandamento trapanese, approfittando del vuoto di potere lasciato dagli arresti di Virga, Ciccio Pace e dei figli di Virga.

Ad appoggiarlo, secondo l'accusa, c’erano figure di peso come Nino Buzzitta, storico “consigliori” del mandamento, e Mariano Minore, figlio di Calogero “Caliddu” Minore. 

Il luogo simbolo del potere ritrovato di Bonanno sarebbe stato la macelleria di via Agostino Pepoli, trasformata – secondo gli inquirenti – in un vero e proprio centro direzionale delle attività mafiose: qui si decidevano affari, si riscuotevano i “crediti”, si gestivano intestazioni fittizie di beni, si controllava il territorio.

Tra gli episodi più significativi illustrati da Cito in aula, c’è quello che riguarda un noto imprenditore trapanese, Benito Spada, titolare del locale “Nais” sulla spiaggia di San Giuliano. Nel marzo 2023, Spada si sarebbe rivolto a Bonanno per ottenere protezione da un piccolo delinquente, Vito Messina, detto “Cucciolo”, che lo infastidiva, danneggiando l’attività e molestando i clienti.

Non una denuncia ai Carabinieri, ma una visita “mirata” alla macelleria. Le intercettazioni ambientali documentano l’incontro tra i due, con Bonanno che rassicura: “Senza sparare risolviamo questa situazione”. Il boss si rivolge poi a Vito Culcasi, parente di “Cucciolo”, dicendo: “U vulia stuccari, ma unnu fici picchì è to parente. Ma si c’è da stuccari, si stocca”. (“Lo volevo colpire, ma non l’ho fatto perché è tuo parente. Ma se c’è da colpire, si colpisce.”)

Il problema, in effetti, venne “risolto” in pochi giorni. Messina cessò i danneggiamenti. Ma il favore ebbe un prezzo: secondo le indagini, Spada avrebbe pagato 2.000 euro a Bonanno, poi altri 1.000, e – anche se non ci sono prove – si sospetta che gli abbia regalato anche l’abito da matrimonio.

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Qui una replica del legale di Spada.