Il garage di Giuseppe Di Giorgi, arrestato nel luglio scorso da Polizia e Ros, era stato indicato come possibile rifugio di Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza. Tuttavia, il giudice dell’udienza preliminare, Lorenzo Chiaramonte, ha assolto Di Giorgi dalle accuse di favoreggiamento aggravato, procurata inosservanza della pena e contraffazione di arma. L’unica condanna a suo carico riguarda la detenzione illegale di un’arma da fuoco, trovata nella sua abitazione di via Castelvetrano, per la quale è stata inflitta una pena di 2 anni e 8 mesi.
Il procedimento, avviato circa dodici mesi fa, si è concluso in primo grado con questa decisione, in attesa della pubblicazione delle motivazioni della sentenza da parte del giudice. La Procura ha comunque annunciato che valuterà un eventuale ricorso, lasciando aperta la possibilità di ulteriori sviluppi giudiziari.
Dopo l’arresto di Messina Denaro, le autorità avevano passato al setaccio le registrazioni delle telecamere di videosorveglianza situate lungo la strada per Mazara del Vallo, tracciando così i movimenti dell’ex latitante. In un episodio risalente all’ottobre 2022, era stato ripreso mentre entrava in un residence insieme a Lorena Lanceri, sua compagna. Successivamente, nel covo dove si nascondeva, era stata trovata una chiave che apriva un cancello di un complesso residenziale a Mazara, elemento che confermava la sua presenza in quella zona.
Nel corso delle indagini, perquisizioni nelle abitazioni della sorella Rosalia e del geometra Andrea Bonafede – colui che per anni aveva prestato la propria identità al boss – avevano portato al ritrovamento di una chiave in grado di aprire il box di Di Giorgi, dove erano presenti un letto e un angolo cottura. Questo aveva fatto ipotizzare agli inquirenti che il garage potesse essere stato utilizzato come nascondiglio. Tuttavia, all’interno non furono rilevati né impronte né altri riscontri diretti che confermassero la permanenza di Messina Denaro.
A casa di Di Giorgi, invece, fu rinvenuta una pistola la cui matricola coincideva con quella di un’arma in dotazione a un carabiniere. Secondo la difesa, si trattava di un modello d’epoca risalente alla Seconda Guerra Mondiale, e la corrispondenza delle matricole sarebbe dovuta all’età dell’arma, rendendo infondata l’accusa di contraffazione. Resta però la condanna per il possesso irregolare di una pistola calibro 38 special.
Quanto al garage, i legali hanno precisato che la serratura montata era di tipo molto comune e che la chiave ritrovata non corrispondeva esattamente all’originale.