Portavano clandestinamente connazionali dalla Tunisia alle coste siciliane a bordo di gommoni, erano armati, organizzavano persino evasioni dal carcere e — forse — anche dai CPR, i Centri di permanenza per i rimpatri. Sono queste le accuse gravissime che hanno portato all’arresto di sei cittadini tunisini in Sicilia, ritenuti membri di un’organizzazione criminale dedita all’immigrazione clandestina aggravata dal possesso di armi.
La banda e l'indagine
I sei uomini, tutti tra i 25 e i 42 anni, vivevano lungo la costa tirrenica della Sicilia, principalmente tra Patti e Capo d’Orlando, ma agivano su tutto il litorale dell’isola. Cinque di loro sono stati fermati dai Carabinieri di Patti e di Trapani su ordine della Procura di Messina. Gli arresti sono avvenuti tra Patti e Castelvetrano. Per tutti, il fermo è stato poi trasformato in arresto dal Gip.
Il sesto arrestato è un volto già noto alle forze dell’ordine: un 31enne tunisino che lo scorso 9 marzo era riuscito a fuggire dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. È stato sorpreso mentre faceva da scafista nell’ultimo viaggio organizzato dalla banda.
Il blitz del 12 giugno
Il colpo decisivo è arrivato il 12 giugno. Quel giorno l’organizzazione ha pianificato l’ennesimo sbarco, facendo arrivare via mare venti migranti, tra cui due donne e cinque minori, sulle coste del Trapanese. Ma i Carabinieri, che da tempo seguivano i movimenti della banda, erano pronti: hanno lasciato che il gommone attraccasse per completare il quadro investigativo e poi sono intervenuti, bloccando i migranti e facendo scattare l’operazione.
I militari dell’Arma di Trapani, Marsala e Mazara hanno fermato i migranti subito dopo lo sbarco. L'indagine ora prosegue per individuare altri eventuali complici e ricostruire la rete di contatti tra la Sicilia e la Tunisia.
Da migranti a trafficanti
Secondo gli investigatori, la banda era composta da tunisini che, dopo essere arrivati in Sicilia, si erano trasformati in trafficanti e sfruttatori dei loro stessi connazionali. Chi voleva raggiungere l’Italia pagava il viaggio, spesso rischiosissimo, per poi finire nelle mani di chi aveva ormai ben poco a che fare con la solidarietà tra migranti.