Hanno tra i 10 e i 15 anni, portano taniche vuote tra le mani e un compito semplice affidato dai genitori: andare a prendere l’acqua. Invece trovano la morte. È accaduto ancora a Gaza, nel campo profughi di Nuseirat, dove ieri una bomba israeliana ha colpito un centro di distribuzione idrica dell’organizzazione locale Afaq. Dieci le vittime, tra cui sei bambini e una bambina. Venti i feriti. Un padre, il corpo insanguinato del figlio in braccio, piange e sussurra: «Chi ti ha detto di andare a prendere l’acqua? Saremmo rimasti assetati per mesi…».
Le infermiere della clinica del campo parlano di una strage quotidiana. Anche l’acqua è diventata un pericolo. Il 95% delle risorse idriche della Striscia non è più potabile, denuncia Ha’aretz. Gli impianti di desalinizzazione non funzionano, manca il carburante. Gli israeliani, in una rara ammissione, spiegano che il missile era destinato a un militante della Jihad islamica, ma ha mancato l’obiettivo: «Siamo spiacenti per ogni vittima».
Trenta morti in poche ore
Nella stessa giornata altri attacchi hanno colpito Gaza City, tra cui un mercato. Dodici i morti. In totale, nel solo pomeriggio di domenica, una trentina di vittime. Il bilancio delle ultime 24 ore – secondo il ministero della Sanità locale, controllato da Hamas – è di 140 morti. Il numero complessivo delle vittime palestinesi da ottobre 2023 supera ormai quota 58.000.
Il dramma degli aiuti: 800 morti vicino ai centri di distribuzione
È un paradosso crudele: morire mentre si cerca di sopravvivere. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, dall’avvio delle attività della controversa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), almeno 798 persone sono state uccise nei pressi dei centri di distribuzione del cibo. La Ghf, istituita da Israele con l’appoggio di contractor americani, è accusata da ONG come Save the Children e Oxfam di gravi violazioni: uso della forza ingiustificata, sparatorie sulla folla, distribuzioni in condizioni caotiche. Amnesty International sta raccogliendo prove per denunciare la Ghf per crimini di guerra. Israele respinge: «Reagiamo solo contro elementi armati sospetti».
I numeri della morte
Il 27 maggio, primo giorno di attività della Ghf, dieci morti a Tel al-Sultan. Il primo giugno, 32 morti a Rafah. Il 16 giugno, 23 morti e 200 feriti. La lista si allunga ogni giorno. Mentre il governo israeliano pianifica una “città umanitaria” nel sud della Striscia: una tendopoli permanente per gli sfollati. Per l’opposizione israeliana si tratta di «campi di concentramento».
Nessuna svolta diplomatica
Sul piano internazionale, pochi spiragli. L’inviato Usa Steve Witkoff incontra una delegazione del Qatar a margine della Coppa del Mondo per Club, ma rinvia la visita a Doha. Netanyahu ribadisce: «Non ci ritireremo da Gaza. Hamas vuole che ce ne andiamo per riarmarsi. Non lo permetterò». E rilancia: «Abbiamo accettato il cessate il fuoco, sono loro ad averlo respinto. I nostri obiettivi restano: il rilascio degli ostaggi, la distruzione di Hamas, la fine delle minacce».
Intanto a Gaza si muore ancora. Per un sorso d’acqua.